In questi mesi di propaganda referendaria, che vede al centro del dibattito politico la possibilità di riduzione del numero dei parlamentari, è opportuno chiedersi se il concetto di democrazia al quale siamo abituati sia effettivamente quello migliore possibile.
La Costituzione repubblicana, di impronta prettamente democratica, voleva essere un passo successivo all’abrogato Statuto Albertino, redatto in un’epoca in cui l’ideologia dominante era il vecchio liberalismo.
Tra riforme elettorali effettuate o promesse, maggioranze deboli, governi che cadono o si trasformano, fino ad arrivare al crescente clima di sfiducia nella politica tradizionale, la democrazia partitica viene continuamente messa alla prova, con dibattiti grotteschi e talvolta aggressivi, sia dentro che fuori dalle aule.
In ogni caso, più si va avanti più il Popolo/Nazione si sente distante dalle istituzioni e dai tre poteri simbolo della democrazia moderna, sentimento accentuato anche dal fallimento dei partiti “anti-politici”.
Per citare una battuta del Signor G (sperando che ci perdoni, dato che non la pensava proprio come noi): “È nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune geniali modifiche, fa sì che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: Lei non sa chi sono io”.
Quanta verità in questa frase di questo grande cantante.
La scelta della maggioranza, e quindi del governo, viene affidata a chi parla meglio, per poi cambiare fronte se chi viene eletto non mantiene quanto promesso. Discorso che non vale per chi ha un’ideologia ben solida, e che sarà sempre fedele al suo partito di riferimento o alla medesima “area”. Il partitismo creerebbe dunque la famosa alternanza dei governi, punto cardine della democrazia rappresentativa: ciò garantirebbe la pluralità di idee, in vista di un fine ultimo che accontenti il popolo di ogni idea.
Purtroppo sappiamo che non è così. A discapito delle solite frasi fatte, le cosiddette opposizioni costruttive non sono mai esistite. Ogni legislatura è una guerra in politica, nelle piazze, nei bar e sulla rete, una battaglia a colpi di accuse reciproche che valgono per tutti, ma sentiamo condanne o giustificazioni a seconda di chi sia l’oggetto della colpa (ad esempio, lo scandalo attuale del bonus percepito dai politici vede condanne di un fronte verso l’altro e non verso i suoi, pur avendone beneficiato tutta la politica trasversalmente). Un esempio utile per capire che la democrazia rappresentativa presenta punti deboli anche in basso, non solo in Parlamento.
Come fare allora?
La soluzione, già sperimentata ma interrotta, è la trasformazione della democrazia così come la conosciamo in democrazia organica, partendo da un aspetto culturale ed arrivando a quello politico-istituzionale.
La democrazia organica, propedeutica per certi versi allo Stato etico, è quella concezione che vede il Popolo e lo Stato non più come entità separate, ma fuse in un singolo essere, organizzato a livello gerarchico. Il Popolo viene rappresentato in sede istituzionale non più dai partiti ma dalle Corporazioni del lavoro, associazioni di mestiere di cui troviamo un esempio già nel Medioevo italiano; per questo la democrazia organica è detta anche corporativa.
È naturale che il dibattito parlamentare vi sarebbe comunque, ma a differenza dei teatrini a cui ogni tanto dobbiamo assistere, avremmo discussioni molto più costruttive.
La democrazia organica vedrebbe dunque una partecipazione diretta del cittadino/lavoratore alla vita dello Stato, abbandonando il vecchio modus del delegare ad altri. Sparirebbe anche l’attuale concezione, figlia del liberalismo ed ereditata dalla democrazia, della libertà dallo Stato, per lasciare il posto alla libertà dello Stato, che comprenderebbe sia la libertà della comunità che del cittadino. Ed il tutto senza sfociare nello statalismo socialista, che vuole il cittadino annullato a livello individuale e ridotto ad ingranaggio sostituibile della macchina economica. In uno Stato corporativo, o demo-organico, l’individuo è al contrario elevato.