L’articolo 33 dello Statuo Albertino del 1848 recitava: «Il Senato è composto da membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato». Ci si sarebbe aspettato che, col tempo, questo imbarazzante residuo dello Statuto Albertino sarebbe caduto nell’oblio che merita. Invece sembra essere più vivo che mai.
Bisogna avere il coraggio di sfondare il politicamente corretto ed affermare che i senatori a vita sono uno schiaffo a quaranta milioni di elettori. La loro abolizione non viene minimamente presa in esame dalla riforma costituzionale, né viene toccato il comma 1 dell’art. 59, secondo il quale «È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica». Ciò che rileva in sede di revisione è il comma 2 dell’art. 59 Cost. La sua formulazione attuale stabilisce che «Il Presidente della Repubblica può nominare senatore a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».
Come noto, la norma costituzionale si è prestata ad interpretazioni ed applicazioni diversificate: la questione controversa si è avvitata intorno all’alternativa se il numero dei cinque senatori di nomina presidenziale fosse da considerarsi riferito alle prerogative della Presidenza della Repubblica quale organo costituzionale (dal ché discenderebbe che il numero dei senatori di nomina presidenziale non potrebbe, in ogni caso, eccedere il numero di cinque), ovvero possa considerarsi riferito alle prerogative di ciascun Presidente della Repubblica (con la conseguenza che, in concreto, detto limite ben potrebbe essere soggetto a scostamenti in aumento).
La norma contenuta nella proposta pone termine, dunque, ad ogni possibile disputa, tuttavia, pur in conseguenza dell’espressa canonizzazione della richiamata tesi «rigorista», la disposizione costituzionale novellata non tiene conto del diverso rapporto che si andrebbe ad instaurare tra il novero dei senatori di nomina presidenziale e quello dei senatori elettivi.
A questo si aggiunga che l’istituto dei senatori a vita è politicamente rischioso. L’onorevole Alberti, promotore dell’art. 59 della Costituzione, sosteneva davanti ad alcuni costituenti perplessi che, dato il loro numero esiguo, i senatori a vita non avrebbero mai potuto spostare il centro di gravità di una situazione politica. In realtà, negli ultimi venti anni, dei senatori a vita si è parlato quasi solo per il ruolo decisivo di alcuni di essi in due episodi cruciali della storia recente, la nascita del Governo Prodi nel 2006 e la sua caduta nel 2008, nonché il non secondario apporto avuto in occasione della fiducia al Governo Conte bis nel settembre 2019. L’intendimento del costituente era quello di apportare conoscenze al Senato, senza mai cambiare l’orientamento politico voluto dai cittadini. È avvenuto esattamente il contrario di quanto intendevano i componenti dell’Assemblea Costituente.