Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. avv. Giuseppe Conte, sta valutando l’ulteriore proroga dello stato di emergenza fino a dicembre 2020.
Alcune riflessioni:
1) È necessaria la costituzionalizzazione dello stesso, come avviene in altri ordinamenti (Regno di Spagna, Federazione Russa etc…). Non è pensabile continuare con il modello previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 1/2018 (Codice della Protezione civile), che prevede una deliberazione del Consiglio dei Ministri senza alcun controllo preventivo di legittimità, il quale è espressamente escluso.
2) Ritengo priva di fondamento la tesi secondo la quale la gestione del contenimento dell’agente virale Covid-19 sia avvenuta all’interno del “circuito della rappresentanza politica”. Se è vero, infatti, da un lato, che il Parlamento poteva non convertire in legge formale i decreti-leggi dell’Esecutivo entro il termine perentorio di 60 giorni decorrenti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, è anche vero, dall’altro, che le stesse Camere hanno lasciato inalterato il potere, in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, di adottare i noti decreti (atti formalmente amministrativi, ma sostanzialmente normativi), trasformando il provvedimento provvisorio avente forza di legge ex art. 77, comma 2, della Costituzione repubblicana in una fonte-atto ad efficacia differita, in netto contrasto con la peculiare natura del decreto-legge, che richiede misure omogenee ed immediatamente applicabili (cfr. sent. n. 22/2012 Corte cost.).
Questo ha lasciato ad una fonte secondaria di produzione del diritto, quale il DPCM, una potestà enorme di attuare e/o integrare le misure di contenimento, oppure di introdurne di nuove anche non contemplate dalla fonte primaria attributiva del potere.
In questo caso, fatta sempre salva la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, le Camere hanno legittimato, in favore di una sola componente del Governo inteso quale organo costituzionale complesso, la possibilità di intervenire concretamente sui diritti costituzionali con limitazioni e, in alcuni casi, con vere e proprie discutibili compressioni (senza assicurarne la “minima operatività” secondo la nota sent. n. 67/1990 Corte cost.), al di fuori di qualunque dialettica parlamentare.
E non si dica che il ruolo del Parlamento è stato salvaguardato dall’emendamento Ceccanti in occasione della conversione in legge ordinaria del decreto-legge n. 19/2020. Questo prevede, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Ministro da lui delegato, un obbligo di informativa che può portare ad esprimere solo atti di indirizzo, rilevanti sul piano politico (chi, comunque, metterebbe in discussione l’operato di Conte?) ma non su quello giuridico.
Siamo di fronte ad un dispotismo che sta divenendo sempre più normalità consolidata.