Quella che pretende di essere una enciclica si rivolge «a tutti i fratelli e le sorelle», «a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose» e si propone di «far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità», e vuol essere «uno spazio di riflessione sulla fraternità universale».
Don Camillo direbbe: «mò mica le ha scritte il Papa queste scemenze», e ritengo che il Crocifisso non lo redarguirebbe.
E io, che pur essendo un “baciapile”, non sono un Don, mi chiedo: ma per rimanere nel solco della dottrina sociale della Chiesa, era proprio necessario partorire amenità (uso un eufemismo), tipo:
- «un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana»;
- «agire insieme e guarire dalla chiusura del consumismo, l’individualismo radicale e l’auto-protezione egoistica»;
- per superare «le ombre di un mondo chiuso» e conflittuale;
- e «rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale che viva l’amicizia sociale».
Ma soprattutto, mi chiedo: perché tirare in ballo il Santo definito da Dante “… tutto serafico in ardore”, il quale, alla faccia del pauperismo di maniera di questi pretucoli alla Biancalani, pretendeva il meglio dell’oro e della seta per i paramenti della Messa e che è andato in Terra Santa con i crociati, dove ha sfidato l’emiro Al Kamil in un’ordalia per dimostrare che l’unico vero Dio è quello cattolico?
Non si è reso conto Bergoglio che ciò che propone come enciclica è quanto di più ambiguo esista, perché si tratta di un testo con affermazioni di vario genere, dalle quali si possono desumere differenti considerazioni, buone per creare la più satanica confusione?
Bergoglio ammetta che ad ispirarlo sono stati Marx e John Lennon, e lasci in pace San Francesco.