“La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria” … “ogni cosa sacra viene sconsacrata” (Marx)
Rileggendo oggi il “Manifesto del partito comunista” (1) di Marx e Engels del 1848 si resta colpiti, da una parte, dalla sua attualità (ruolo e logica del capitalismo internazionale e sue conseguenze), e dall’altra dalla sua falsa scientificità che ha affascinato e ingannato generazioni di seguaci, ma che si sarebbe rivelata essere soltanto un determinismo fatalista destinato, alla lunga, a porre i suoi credenti al servizio della globalizzazione dei nostri giorni, come emerge chiaramente dall’opera di distruzione sistematica delle classi popolari produttive culminata nell’attuale crisi da virus.
La descrizione del capitalismo di allora ci appare a dir poco familiare: “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione […] l’incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l’incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l’epoca borghese […] ogni cosa sacra viene sconsacrata […] il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni […] essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza”, così come appaiono attuali alcune delle sue conseguenze per gli uomini che “costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo di commercio […] esposti a tutte le vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato”. E per le loro identità personali e naturali: “le differenze di sesso e di età non hanno più nessun valore sociale per la classe operaia. Non ci sono più che strumenti di lavoro, il cui costo varia secondo l’età e il sesso”. Se pensiamo al femminismo, alla dissoluzione della famiglia, alla fluidità sessuale contemporanea, tutto questo appare come scritto oggi.
Occorre, tuttavia, mettere in chiaro che questo stravolgimento dell’ordine naturale, della spiritualità, della famiglia e dell’identità etnica, questa eliminazione di ogni etica e di ogni forma di amore per il prossimo, per Marx non costituiscono una colpa ma, al contrario, un merito storico senza precedenti:
“La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria. Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato “pagamento in contanti”. Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio […] ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l’innanzi erano considerate degne di venerazione e di rispetto […] ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva i rapporti di famiglia”.
Di fronte a tutto questo “progresso” Marx non ha nessuna simpatia o comprensione e non prova nessuna compassione per le classi sociali massacrate dal capitalismo borghese: contadini, artigiani, negozianti, piccoli industriali e tutti i ceti medi sono inesorabilmente condannati a sprofondare nel proletariato. E se si oppongono a questo destino di povertà e miseria, sono bollati come “reazionari” implicitamente destinati a essere annientati dai borghesi o dai comunisti, oppure da entrambi. Contrariamente al vecchio luogo comune, non ci sono simpatia o pietà neppure per i più poveri: anche il sottoproletariato è disprezzato e condannato da Marx come “la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società”; sottoproletariato destinato, secondo Marx, a mettersi al servizio degli odiati reazionari!
Se tutti o quasi sono destinati a essere proletarizzati e immiseriti dalla borghesia – e chi si oppone a ciò è da odiare in quanto reazionario – Marx sembra salvare il solo proletariato industriale che, sotto la guida dei comunisti, dovrà scatenare la lotta di classe e instaurare la nuova società ugualitaria. Descrivendo la lotta degli operai dell’epoca contro lo sfruttamento borghese, Marx cade tuttavia in un lapsus clamoroso: gli operai, ci spiega, “distruggono le merci straniere che fanno loro concorrenza, fanno a pezzi le macchine, incendiano le fabbriche, tentano di riacquistare la tramontata posizione dell’operaio del Medioevo”. Se ne deduce quindi dallo stesso Manifesto che: a) contro ogni internazionalismo, gli interessi degli operai (come dei piccoli e medi imprenditori) sono storicamente e naturalmente tutelati dai regimi nazionalisti, autarchici e protezionisti, b) gli operai non avevano e non hanno nessun bisogno dei comunisti per lottare energicamente contro lo sfruttamento borghese – anzi, col senno di poi, possiamo dire che il sindacalismo contemporaneo li ha piuttosto neutralizzati e addomesticati – e infine c) che nel mondo tradizionale organizzato in corporazioni, il lavoratore era ben più tutelato e garantito e aveva più peso sociale rispetto al lavoratore moderno. Senza saperlo, in tre righe Marx ha anticipato le caratteristiche del futuro sindacalismo fascista che sarà infatti nazionalista, costruttivamente militante, corporativo.
In realtà, cosa si contesta alla borghesia da parte comunista? Di essere troppo moderata o meglio, di non portare a termine il suo lavoro! Il “Manifesto” afferma che i comunisti vogliono l’abolizione della proprietà privata già “abolita per nove decimi” nella società borghese – nella quale, effettivamente, i pesci più grossi e voraci mangiano senza pietà le proprietà di tutti gli altri. I comunisti vogliono abolire la famiglia, già in gran parte disfatta e corrotta dalla borghesia. I comunisti vogliono abolire le nazioni e le patrie quando il capitale internazionale ha già abbattuto i confini e cominciato a cancellare identità e stili di vita tradizionali. I comunisti vogliono dare il colpo di grazia alla religione e alla morale già sostituite dal cinismo e dalla libertà di coscienza borghesi. In sintesi: i comunisti vogliono solo portare a termine un processo avviato e implementato dalla borghesia stessa che quindi non ha titoli per opporsi in via di principio al comunismo! Del resto il determinismo comunista implicava che si sarebbe passati comunque, inevitabilmente e quasi automaticamente, dalla società borghese a quella comunista.
In fondo, borghesia capitalista e comunismo appartengono allo stesso mondo ideale del quale sono solo gradazioni diverse. Solo se si tiene a mente questo fatto, si comprende come sia stato facile per i comunisti contemporanei dopo il fallimento del “socialismo reale”, mettersi al seguito dell’alta borghesia e invertire la loro lotta di classe mettendosi con i ricchi contro i poveri! Quando, in epoca di allarmismo da Covid, il grosso del mondo marxista collabora così entusiasticamente e naturalmente al livellamento sociale più spietato e all’annientamento del nostro tessuto sociale e produttivo nazionale, non fa altro che rivelare il suo vero volto e la sua autentica funzione storica.
Ma allora quali sono i veri nemici del comunismo, quelli da temere di più, da odiare, insultare e combattere? Per Marx sono i socialismi non marxisti! E ne fa l’elenco. Primo fra tutti il “socialismo feudale”, la società cristiana e tradizionale, seguita nell’ordine dal “socialismo piccolo-borghese”, sostenitore delle corporazioni e dell’economia patriarcale, e dal “socialismo tedesco” o “vero socialismo”, che recupera il nazionalismo e supera la lotta di classe.
Di nuovo, senza saperlo, Marx ha preannunciato come nemici da odiare socialismi che, in modi e misure diverse, anticipano in campo sociale i fascismi europei del XX Secolo!
Sarebbe, tuttavia, ingiusto negare che negli anni successivi al “Manifesto”, molti sarebbero diventati comunisti o socialisti – aderenti di base ma anche quadri intermedi e persino dirigenti – fondamentalmente in buona fede, come reazione alle ingiustizie prodotte dalla borghesia. Accanto a un socialismo preteso “scientifico”, si sarebbe così manifestato anche un socialismo “etico” e, a dispetto di Marx stesso, sarebbero emerse gradualmente ma naturalmente tendenze critiche. Tra gli stessi socialisti si cominciò a riconoscere che, almeno in campo artistico, la “produzione” non era frutto esclusivo della necessità economica, ma esprimeva qualcosa di superiore, implicando il coinvolgimento della sfera spirituale – l’uomo non produce la Cappella Sistina o una sinfonia solo per percepire una paga a fine mese! Altri ritenevano improponibile il comunismo, orientandosi verso forme più limitate di socialismo (come il collettivismo o il socialismo agrario), ma soprattutto tra gli stessi socialisti si faceva largo la tendenza volontarista, che nei fatti, rinnegava il determinismo del Manifesto di Marx.
Questo Volontarismo costituisce una lezione e una regola ferrea per tutti i movimenti militanti di tutti i tempi e di tutti i luoghi: non importa quanto le condizioni oggettive possono divenire favorevoli alla rivoluzione, se manca la volontà di agire, la rivoluzione non si realizza. Entra dunque in gioco la volontà umana, il libero arbitrio dell’uomo, in ultima analisi il suo spirito. I “santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco e della sentimentalità” che Marx riteneva affogati nell’acqua gelida dell’egoismo borghese, erano invece sopravvissuti e avrebbero dato vita, tra le altre cose, al sindacalismo rivoluzionario di Sorel, alla sua rivalutazione della famiglia e della moralità, e che a sua volta – come vedremo – doveva costituire il ponte ideale per il passaggio al fascismo. La religione dell’odio di classe era già allora destinata a perdere.
(1) Karl Marx e Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, Liberazione, 1998