Non ho mai avuto granché di simpatia per i presidenti statunitensi che si sono avvicendati dopo Reagan, e il punto più basso l’ho raggiunto con Obama, affiancato dalla Signora Rodham, moglie di Clinton; il motivo è semplice: quell’accoppiata ha sdoganato l’organizzazione transnazionale islamista che risponde al nome di Fratellanza Musulmana, madrina del più truce Islam militante (e uso un eufemismo) che ha scatenato le primavere arabe.
Un gran bel capolavoro di politica estera avventuristica che, oltre ad aver scombussolato un mondo arabo-islamico che stava cercando faticosamente la via per uscire dalle pastoie dell’Islam, ha anche prodotto una caterva di vittime.
Con Trump, della politica estera statunitense non ci ho capito un granché perché, se da un lato ha tentato, in parte riuscendoci, di mettere ordine in quel disordine scatenato in Medio Oriente dai due fenomeni sopra citati, ossia Barack e Hillary, ridisegnandone le alleanze, dall’altro ha accoppato il capo dei Pasdaran, il Generale Soleimani, contraddicendo una politica che sembrava comunque mirata a smorzare i toni con l’Iran. Personalmente, ho avuto l’impressione che Trump tralasciasse la politica estera, preferendo subire l’iniziativa del suo Segretario di Stato, Mike Pompeo, pertanto non è da escludere che quell’episodio, tanto brutale quanto idiota, potrebbe anche essere stato orchestrato in autonomia dallo stesso Pompeo il quale non si sa quali occulti agreement potrebbe aver instaurato con gli Ayatollah, l’ala religiosa del potere iraniano.
Oggi c’è un elemento che mi lascia perplesso di fronte al presunto prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden. Mi riferisco all’esultanza di quella cricca che si chiama “Fratellanza Musulmana”, dedita al peggior Islam, la quale ha per motto: “Dio è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il Jihad è la nostra via. Morire nella via di Dio è la nostra suprema speranza”. In sostanza, un chiaro programma d’islamizzazione dell’orbe attraverso la da’wa (predicazione mirata al reclutamento) e il Jihad (la guerra santa).
La Fratellanza, sostenuta dai petrodollari dei paesi del Golfo (Qatar in testa), non ha lesinato gli sforzi nel sostenere Biden. Infatti, il comitato di azione politica musulmana negli USA, è riuscito ad incrementare in maniera sensibile l’affluenza degli elettori musulmani.
Fin dai primi exit poll che davano Biden in crescita, i Fratelli musulmani e i loro media (in testa la tv qatariota Al Jazeera) hanno vistosamente esultato; in Egitto, in Tunisia, nello Yemen sono state organizzate manifestazioni di giubilo e l’agenzia di stampa del governo turco ha voluto “condividere con il mondo arabo la gioia per una simile notizia”.
Gli osservatori più attenti non mancano di chiedersi per quale motivo Biden sia così ben visto dal mondo musulmano più islamista.
Semplice: perché offre garanzie di una possibile riedizione delle “primavere arabe”, per le quali i Fratelli musulmani hanno speso fior di quattrini (del Qatar) ed energie mediatiche (della rete TV Al Jazeera, ad essi organica) e che si sono spente prima di aver raggiunto il loro scopo: la re-islamizzazione di quei paesi, come la Siria, l’Egitto, la Libia, la Tunisia, considerati troppo distanti dal fondamentalismo islamico. In questo contesto, Giordania e Marocco non sono stati colpiti semplicemente perché si tratta di regni guidati da sovrani con una elevata legittimità religiosa, risalente al Profeta.
Lo scenario più probabile che i Fratelli musulmani si attendono è quello, trito e ritrito, degli interventi mirati alla difesa dei diritti umani calpestati, per cui:
- saranno promosse rivolte contro regimi denunciati come oppressivi, tipo la Siria (Arabia Saudita, Emirati, e Qatar, invece, sarebbero dei bijou di democrazia e tolleranza);
- verranno favoriti i partiti islamisti in quei paesi in cui non sono riusciti a consolidarsi, come lo Ennahda tunisino, il quale probabilmente sarà riportato al potere, e staremo a vedere cosa succederà in Egitto (paese cerniera tra il Mashrek e il Maghreb).
Biden e la sua Hillary, al secolo Kamala, s’indigneranno e appoggeranno quelle rivolte, e magari ci potrà anche scappare un intervento soft, giusto per permettere un più rapido cambio di leadership.
E noi europei – che non abbiamo capito che le “Primavere arabe” sono state l’anticamera di quel jihadismo che colpisce anche in Europa – staremo al balcone a guardare, esultando come babbei per la liberazione di popoli che nessuno, neanche il democratico Biden, vuole realmente liberare (da cosa poi?), ma solo consegnare nelle mani di chi vuole islamizzare l’orbe.
No, per i paesi del mondo arabo-islamico che stanno sforzandosi di uscire dalle pastoie di un Islam “intollerante”, è meglio un Trump un po’ tycoon e un po’ cowboy che un sorridente e democratico Biden amico dei Fratelli musulmani. Per non parlare dell’abortismo pro-Planned parenthood della Kamala e della sua propensione a ergersi a giudice fustigatore di chiunque, in materie come la tutela della vita umana innocente e indifesa (come quella del bimbo nel grembo materno), la difesa dell’ambiente e il costume sessuale, non la pensi come lei.