Prologo
L’11 settembre del 2020 è ricorso il 47° anniversario del golpe cileno capeggiato, nel 1973, dal generale Augusto Pinochet (25 novembre 1915 – 10 dicembre 2006). In quest’occasione, mi sembra opportuno ristudiare quel che successe allora, le cause del golpe e ciò che ne scaturì.
Per far ciò mi servo, in questo breve articolo, del bel libro del caro amico, prematuramente scomparso, Mario Spataro, Pinochet. Le “scomode” verità, Roma, Il Settimo Sigillo, 2003.
L’egemonia gramsciana esercitata dalla intellighenzia marxista in Italia ci ha propinato il mito manicheo e bolscevico di un ottimo e senza macchia Salvator Allende sconfitto dal malvagio Augusto Pinochet, che sarebbe stato una sorta di incarnazione del “male assoluto”, secondo solo ad Hitler.
Purtroppo anche molti uomini di Chiesa cileni (tra cui spicca l’Arcivescovo di Santiago del Cile, cardinal Raul Silva Henriquez) caddero nella trappola della mano tesa ai cristiani ingenui dal neo-marxismo gramsciano o “comunismo dal volto umano” ed accettarono di camminare assieme ai progressisti e ai marxisti, schierandosi aprioristicamente contro Pinochet e facendo così il gioco del comunismo internazionale, che a quei tempi era ancora guidato da Mosca e che si ammantava della nuova dicitura di “Euro-comunismo”, escogitato da Enrico Berlinguer proprio in occasione del golpe cileno del 1973, rifacendosi alla dottrina gramsciana.
Il Gramscismo e il Cile di Allende
Il campo specifico di Gramsci è stato quello di studiare la tattica per conquistare i corpi intermedi della società civile (la magistratura, l’esercito, la scuola, la stampa, la radio), per poter conquistare il governo stabilmente e senza paura di reazioni alla spagnola come nel 1936 o alla cilena come nell’11 settembre del 1973.
Tutta la dottrina di Gramsci è diretta alla ricerca di una tattica idonea a garantire l’accettazione e poi il successo del comunismo in Europa o nei Paesi larga maggioranza a cattolica, come il Cile.
Secondo la dottrina di Gramsci “il comunismo non deve cercare soltanto e anzitutto di impadronirsi dell’articolazione economico-politica (la struttura) della società, ma deve cercare… prima, di imporsi e di prevalere in tutte le sovrastrutture culturali, giuridiche, artistiche, religiose, ecc., che non sono completamente riconducibili all’economia”.
Gramsci distingue tra conquista dello Stato e conquista della società civile-culturale.
In Occidente (come in Cile nel 1973), il potere politico dello Stato è temperato dalla società civile, ossia da tutti i corpi intermedi che stanno tra l’individuo e lo Stato, cosicché conquistare lo Stato o il governo non significa ancora aver conquistato la società, il potere reale della Nazione. Anzi in Europa la società civile spesso è più forte dello Stato e perciò deve essere conquistata dal comunismo prima dello Stato.
Gramsci distingue direzione e dominio: a) dominio significa sottomettere e liquidare con la forza gli avversari; b) direzione significa condurre gli alleati e gli affini.
Prima di dominare, il comunismo europeo dovrà dirigere; solo quando ha conquistato il governo politico, diventa dominante, ma non deve assolutamente dimenticare di esser anche dirigente. “Tuttavia lo Stato non può essere soltanto coercitivo, altrimenti dopo un periodo di tempo più o meno lungo finisce col crollare (cfr. URSS): mentre esercita la coercizione, cioè mentre è dominante, il gruppo che ha in mano lo Stato deve sforzarsi di essere assieme e contemporaneamente anche dirigente”.
La dittatura comunista, secondo Gramsci, in Europa (come il Cile ha poi confermato nel 1973) sarebbe solo dominio, senza direzione; la dittatura proletaria, per mantenersi al potere, dovrà ottenere dai cittadini non solo l’obbedienza esterna ma anche il consenso. L’eurocomunismo è dittatura più egemonia o consenso. Occorre perciò impregnare la cultura del pensiero marxista, poiché mediante la cultura si organizza il consenso e l’egemonia, che nel caso del comunismo europeo deve essere soprattutto direzione culturale dei giornali, della radio, della TV, delle scuole e dell’università, della magistratura e dell’esercito; le idee comuniste devono diventare le idee dirigenti e della classe dirigente, questa è conditio sine qua non per conquistare il governo stabilmente e durevolmente, altrimenti accadrà come in Spagna nel 1936.
Dopo la sconfitta del comunismo in Cile nel 1974, Enrico Berlinguer s’interrogò sul perché del fallimento. E arrivò alla conclusione che in Cile si era creata una situazione anti-gramsciana, vale a dire da una parte il governo comunista, e dall’altra il ceto medio, una gran parte di operai e di contadini. Ecco la situazione che occorre evitare – scriveva Berlinguer – in Italia! “Ecco le ragioni per cui noi ci battiamo per un compromesso storico”. Quindi occorre andare, pian piano, dal potere al governo, e non frettolosamente dal governo al potere crollato, come in Cile.
Già Gramsci, nel 1919, aveva scritto: “I popolari [democristiani] rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo… I popolari stanno ai socialisti, come Kerenskj a Lenin… Il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida…”.
La strategia comunista della “mano tesa” – con Gramsci, Togliatti e Berlinguer – ha intrappolato i cristiani ingenui, che son stati il cavallo di Troia introdotto nel santuario. I cristiani ingenui risposero, basandosi sulla falsa presunzione che ogni dottrina, anche se originariamente erronea, può evolvere verso il “bene”, non necessariamente verso il vero, che non ha più nessun interesse per i pragmatisti cristiani come per i marxisti.
San Tommaso invece insegna che “un piccolo errore iniziale diventa grande al termine”. Il realismo tomistico si scontra immancabilmente con l’utopismo liberal/modernista, che non tiene conto della ferita della natura umana dopo il peccato originale, per cui l’uomo è più inclinato al male e all’errore che al bene e alla verità.
Purtroppo i più fragili, vulnerabili, esposti sono i cattolici fedeli poiché a differenza dei comunisti sono pieni di “buone intenzioni”, mentre il comunismo come il marxismo non si preoccupa del bene e del vero, della metafisica e della morale, ma solo del risultato pratico.
Nel lontano 1945 Palmiro Togliatti (Discorso al Comitato Centrale del PCI, 12 aprile) rilanciò in grande stile l’idea leninista/gramsciana dell’incontro, nei Paesi a maggioranza cristiana, delle masse comuniste e cattoliche, al di sopra dei dissidi teoretici, nelle azioni sindacali, sociali e pacifiste. Sapendo bene che il marxismo o la pura prassi non aveva nulla da perdervi, mentre il cristianesimo, in cui il primato spetta alla teoria, avrebbe perso il sale e sarebbe diventato insipido e “quando il sale diventa insipido è buono solo ad essere gettato a terra e calpestato” (Mt., V, 13).
Togliatti prospettava l’incontro tra comunisti e “cattolici” (modernisti/cattolici) unicamente sul piano dell’azione, senza nessun riferimento all’ideologia (teologia). Togliatti disse chiaramente: “se si apre un dibattito filosofico, io non ci voglio entrare”. Togliatti non ha ceduto nulla della dottrina comunista. L’importante è agire inizialmente assieme per giungere finalmente alla leadership del movimento marxista su quello cristiano e del modernismo pratico sul cattolicesimo romano.
Cosa è successo? Ebbene l’imprudenza, la fiducia, l’ottimismo esagerato, la presunzione di sé, l’utopismo insano hanno portato i cristiani nelle fauci del marxismo.
Antonio Gramsci nel 1920 scriveva: “In Italia, a Roma, c’è il Vaticano, c’è il Papa; lo Stato liberale ha dovuto trovare un sistema di equilibrio con la Chiesa, così lo Stato operaio dovrà trovare anch’esso un sistema di equilibrio”.
Ancora Togliatti, nel discorso al Convegno di Bergamo (20 marzo 1963), disse: “Oramai anche la Chiesa [dopo Giovanni XXIII e con Paolo VI, ndr] è d’accordo che è finita l’era costantiniana, degli anatemi, delle discriminazioni religiose”.
Nelle proposta comunista e modernista del “compromesso storico” si fanno pubbliche e concrete garanzie per l’esercizio della fede dei cattolici, ma non si pensa volutamente a una domanda che sorge spontanea: “e dopo?”. Si scorge, quindi, la disonestà della promessa marxista e l’ingenuità dell’accettazione cattolica.
In breve, come nel 1963 si diceva che Cristo e Marx non possono andar d’accordo, ma i cristiani e i marxisti possono trovarsi insieme a collaborare nella conduzione della cosa pubblica; così nel 1973 si diceva che socialismo e cattolicesimo sono inconciliabili, però i cattolici e i socialisti potevano marciare assieme e collaborare nella conduzione della Chiesa, aiutandola a sormontare questo lungo periodo di crisi. L’importante è, come diceva Lenin, “non attaccare frontalmente il nemico, ma invischiarlo nei compromessi”.
Il clero progressista contro Pinochet
Alla fine del febbraio del 1987 in un edificio della periferia di Santiago si verificò un’esplosione. La polizia scoprì che in un appartamento del suddetto edificio vi era un arsenale di armi e risalì facilmente all’identità di coloro che vi erano vissuti. Una era la nipote del vescovo Carlos Camus Larenas, capofila dell’opposizione “cattolica” a Pinochet. Spataro commenta: “In certi ambienti progressisti dell’episcopato cileno molto vicini all’arcidiocesi di Santiago da tempo fornivano al terrorismo comunista e filo-cubano aiuti non solo umanitari (cibo e assistenza medica), ma anche consistenti in denaro liquido, salvacondotti e documenti per camuffamento. Fra i terroristi che avevano trovato rifugio presso l’arcidiocesi furono identificati persino quelli che avevano preso parte all’assassinio del generale Carlos Urzua. Già negli anni Sessanta (esattamente: a partire dall’ottobre 1962, conseguenza diretta del Concilio Vaticano II) si erano manifestati in Cile i primi segnali dell’abbandono della dottrina tradizionale da parte di un buon numero di religiosi. […]. Un consistente aiuto alla sinistra marxista venne dato da quella parte dell’episcopato cileno che era vicina alla teologia della liberazione” (cit., pp. 42-43).
Pinochet massone?
Allende era massone oltre che marxista e, secondo il Corriere della Sera (18 ottobre 1998), p. 9), pure Pinochet lo sarebbe stato. Mario Spataro commenta: “Cosa ben strana, questa, dati i sentimenti notoriamente cattolici di Pinochet che, assieme alla moglie, si recava quasi quotidianamente alla santa Messa” (cit., p. 52, nota 47). Inoltre, lo definisce “cattolico strettamente tradizionalista e preconciliare” (cit., p. 168, nota 29).
Per quanto riguarda i rapporti che ebbe Pinochet con Milton Friedman della Scuola iper-liberista di Chicago essi furono puramente funzionali al ristabilimento del benessere economico cileno, che era stato rovinato, come vedremo in seguito, da tre anni di nazionalizzazioni ed espropri da parte di Allende, e quindi occorreva liberalizzare, ma in maniera equilibrata, lasciando allo Stato il potere di intervenire in questioni economico/finanziarie, senza cadere nell’eccesso anarco/liberista dello “Stato minimo”.
Queste sono le due gravi accuse, che vengono mosse contro Pinochet (massonismo e liberismo selvaggio), ma che vengono sfatate dal libro di Mario Spataro.
Nella prossima puntata vedremo come uno dei nemici più acerrimi di Pinochet sia stato il card. Raul Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago apertamente schierato su posizioni comuniste e come Pinochet abbia dovuto difendersi non solo dai comunisti, ma anche dai catto-comunisti e dai prelati dell’episcopato progressista cileno, che gli hanno mosso una guerra spietata sino al resto dei suoi giorni.
fine della Prima parte
(Articolo tratto dal sito dell’autore)