Sudafrica, Domenica 9 dicembre 1838. Dopo l’assassinio a tradimento del capo boero Piet Retief e di centinaia di donne e bambini bianchi, ordinato da Dingane – lo spergiuro fratricida usurpatore del trono Zulu – la situazione dei Voortrekkers, i pionieri boeri decisi a sfuggire al dominio coloniale inglese, appare disperata. Andries Pretorius, Comandante in Capo di un Commando di 470 combattenti boeri Voortrekkers, demoralizzati dalle precedenti sconfitte, e in marcia per affrontare un esercito nemico di almeno 20.000 guerrieri zulu, chiede al Dio cristiano di assisterli e “di consegnargli il nemico nelle loro mani” concedendogli la vittoria e promettendo solennemente che la data della battaglia vittoriosa sarà ricordata e celebrata come un giorno santo, da loro e dai loro discendenti nel corso delle generazioni. Una settimana più tardi, il 16 dicembre, Dio risponderà assicurando ai Voortrekkers boeri una vittoria schiacciante sul campo, in quella che passerà alla storia come la “battaglia del fiume di sangue”. Una vittoria concessa contro un esercito considerato pressoché invincibile e che si è già reso protagonista del Mfecane, lo spietato spopolamento di intere regioni sudafricane con il massacro o l’espulsione di intere tribù rivali.
Quel giorno, ripetute ondate di migliaia di zulu bene organizzati nei loro Impi (reggimenti) e che si credono invincibili grazie alle lunghe pratiche magiche dei loro stregoni, si scagliano contro il perimetro di carri dell’accampamento boero (il Laager). Vengono frenate dal fuoco dei fucili e poi respinte e sbaragliate dalle cariche dirette della cavalleria boera, guidata da Pretorius in persona che alla fine sospinge gran parte della massa nemica verso un vicino fiume in piena. Contro tutte le aspettative, i Voortrekkers contano pochi feriti (tra i quali Pretorius stesso) ma nessun morto. Mentre il resto dell’armata zulu è in fuga – evento eccezionale per l’esercito più forte, organizzato e feroce dell’Africa nera – il fiume si colora di rosso col sangue di migliaia di nemici morti e feriti. Gli Zulu lasciano sul campo almeno 3000 morti. Da quel giorno, il fiume prende il nome di Blood River, Fiume di Sangue (Bloedrivier in Afrikaans), la posizione di Dingane tra gli Zulu ne risulta irrimediabilmente compromessa, e i Boeri pongono finalmente le prime basi per un proprio Stato indipendente, libero sia dall’odiato colonialismo cosmopolita dell’Impero britannico che dalla minacciosa calata delle popolazioni nere che affluiscono proprio in quell’epoca dall’Africa centrale. A Pretorius verrà intitolata successivamente la città di Pretoria. Nel 1938, in occasione dei festeggiamenti per il centenario della vittoria, nascerà l’Ossewa Brandwag, l’organizzazione degli Afrikaner favorevoli all’Asse durante la guerra e la cui eredità verrà raccolta da altri movimenti come l’AWB, il Movimento di Resistenza Afrikaner.
Oggi, i rapporti di forza in quella terra sembrano gli stessi di allora. Uno Stato e una organizzazione sociale costruiti dalla volontà, dalla tenacia e dall’intelligenza dei Boeri – e che erano i più avanzati del continente – sono caduti in mano a usurpatori marxisti che li stanno sgretolando, riducendo alla miseria e alla fame una terra che sotto il dominio bianco produceva ed esportava cibo nel resto del continente. Donne e bambini boeri vengono nuovamente aggrediti, mutilati, assassinati da sicari marxisti nelle loro fattorie, nel colpevole silenzio del mondo, traditi dai paesi occidentali che trovano politicamente scorretto fermare un genocidio strisciante quando le vittime sono colpevoli di essere bianche.
Ma nonostante tutto, la nazione dei Boeri, o Afrikaner, continua a esistere e a resistere. E ancora oggi, il 16 dicembre, come i loro avi, i fieri Boeri celebrano il Gelofgedat, il giorno della Promessa: “Perché l’Onore del Suo Nome sarà glorificato attribuendo a Lui la fama e l’onore della vittoria”.