Pensavo, nella mia ingenuità, che per far la rivoluzione ci volessero gli intellettuali o forse l’esercito o, piuttosto, i capipopolo o, almeno, le società segrete.
Pensavo anche che una democrazia come la nostra, nata da un preciso piano massonico e sostenuta dalle foibe, dai massacri a guerra finita e da altre innumerevoli porcherie partigiane, fosse sì una lordura miserabile, ma una lordura stabile, come certe casette di fango e di sterco di vacca, enormemente più solide di quanto si possa immaginare.
Pensavo anche che anni di dichiarazioni d’amore per la nostra Costituzione, migliaia di discorsi per la democrazia, a favore della democrazia ed in onore della democrazia, fossero dettate da un seme, seppur minuscolo, di onestà: “Sono fessi, sono interessati – dicevo tra me e me – ma forse un po’ ci credono davvero!”.
La religione postfascista allo zucchero filato era inconsistente, era di certo evanescente, ma non credevo lo fosse così tanto da dissolversi come burro in padella.
La rivoluzione, signori, è arrivata ed è quella vera: non l’hanno fatta le brigate rosse e noi men che meno.
La rivoluzione, gentili lettori, è riuscita ad un gieffino dai gusti discutibili, ad un “bibitaro” che per diventare Ministro degli Esteri ha dovuto mettere la Russia nel Mediterraneo e Pinochet in Venezuela, ad un dj, ad un azzeccagarbugli, ad una ministra col rossetto alla Moana, capace di elaborare poche idee delle quali, finora, nessuna intellegibile.
Con l’arrivo di una pandemia pappona, che vanta la peggior gestione nella storia delle pandemie, ma la miglior amicizia con chi l’ha battezzata tale e a cui non smette di elargire doni di ogni sorta, questi fuoriusciti dal circo Barnum, hanno scardinato la Costituzione nel silenzio tombale dei costituzionalisti, hanno annientato le libertà fondamentali con l’avallo dei democratici di carriera, di pensiero e di occasione, hanno massacrato buonsenso e logica col sostegno degli intellettuali e dei giornalisti ed hanno asservito la Chiesa di Roma con ratifica papale, benedizioni cardinalizie e favori vescovili.
O son geni o la firma non è la loro.
Propendo per la seconda ipotesi e, qualora vorrete, nel prossimo articolo vi racconterò perché.
(continua)