“Chi mantiene il regolare funzionamento di questo sistema in uniformità alla volontà popolare? Ecco la funzione del Capo dello Stato”.
In questa frase, pronunciata dal costituzionalista On. Egidio Tosato nella seduta pomeridiana del 19 settembre 1947 durante i lavori dell’Assemblea Costituente, è scolpito quello che dovrebbe essere il ruolo del Presidente della Repubblica nella forma di Governo parlamentare, a debole razionalizzazione accolta dalla Costituzione italiana vigente.
In realtà, le cose non stanno così. Il Testo fondamentale, pur indicando funzioni, poteri e prerogative, lascia questa istituzione troppo flessibile ed elastica al fine, si sostiene, di favorire un operato in piena autonomia. Questo ha portato a delineare quella che il prof. Livio Paladin ha giustamente definito la figura “più enigmatica e sfuggente fra le cariche pubbliche previste dalla Costituzione”.
Sergio Mattarella, sia con il Governo Conte I, sia con il Conte II, ha sfruttato appieno la natura “anfibia” dell’organo, sulla scia del suo degno predecessore Giorgio Napolitano, finendo per condizionare l’indirizzo politico: dal rifiuto della nomina del prof. Paolo Savona a Ministro dell’Economia e delle Finanze al recente “invito” al segretario nazionale di Italia Viva, il senatore Matteo Renzi, di accettare il Piano di ripartenza e resilienza da presentare alla Commissione europea, con l’obiettivo da un lato di disinnescare la possibile crisi di Governo (Mattarella non vuole il voto e, per formazione e cultura politica, aborra una vittoria del centro-destra), dall’altro di ottenere (non rapidamente) i 209 miliardi di euro del Recovery Fund, che altro non sono che debito pubblico futuro da restituire.
Ovviamente, pochi credevano nella sceneggiata del “senatore semplice”, sebbene la sua voce critica non fosse del tutto infondata sul piano dei contenuti, ma la domanda che sorge è la seguente: fino a quale punto può spingersi la figura del Capo dello Stato, specialmente a seguito della sentenza n. 1/2013 della Corte costituzionale, la quale ha trasformato la prassi della “moral suasion”, una delle diverse manifestazioni del “potere neutro” secondo Constant e consistente in una attività di impulso, consiglio, etc.., in una vera e propria “teoria costituzionale” (cfr. A. MORRONE)?
La “inestricabile connessione” tra i poteri formali indicati espressamente dalla Costituzione ed il potere di persuasione (mai utilizzato nella gestione dell’emergenza sanitaria) determina un vero e proprio indirizzo politico presidenziale che, spesso, o si sovrappone a quello di maggioranza o lo modella dal didentro.
Ecco perché è quanto mai necessaria una revisione costituzionale della forma di Governo in senso presidenziale. Questa non va intesa solo come un’opzione istituzionale, in quanto potrebbe diventare il cuore di una più vasta riforma in grado di garantire all’Italia efficacia di governo e stabilità politica, ed insieme offrire una risposta alla crisi del sistema dei partiti e della rappresentanza.