Conosciamo bene – noi – il curriculum vitae del Messia Mario Draghi, Direttore Generale del Tesoro (alias “vile affarista” liquidatore della nostra industria pubblica, secondo cossighiana definizione), uomo Goldman Sachs, disattento Governatore di Banca d’Italia sulle vicende Monte dei Paschi e, certamente, salvatore dell’euro (con un “whatever it takes” pronunciato solamente dopo l’invio della famigerata letterina all’Italia pro-installazione di Mario Monti), passando per una digressione greca che “infiniti addusse lutti agli achei”.
È dallo scorso marzo, con un ormai celeberrimo articolo sul Financial Times, che Draghi sta cercando di ammantarsi di una veste ben diversa. Dalle pagine del quotidiano della City, suggeriva, in fondo, l’inevitabile: assorbire lo shock negativo causato dal Covid tramite un impiego elastico dei bilanci pubblici, da sostenere tramite il mantenimento di politiche monetarie accomodanti.
Di nuovo, il concetto riappariva al meeting di Rimini di questa estate, tramite la suggestione del “debito buono”, accettabile e sostenibile.
Ovviamente, abbiamo aspramente criticato l’intervento e la cecità acritica con la quale in Italia si accoglie la figura di Mario Draghi. In particolare, è da stigmatizzare la confusione tra il concetto di “salvatore dell’euro” e di “salvatore dell’Italia”.
Dal momento che è certo che l’euro è, ad un tempo, direttamente contrario agli interessi dell’economia italiana e funzionale alla promozione della agenda federale della UE, quell’agenda di creazione di un’unione politica di natura federale sostitutiva degli stati nazionali, non è possibile pensare che “l’essere il salvatore dell’euro” (cosa che egli effettivamente è), possa tradursi in un “ha fatto il bene dell’Italia”.
Date tutte queste premesse, resta un’ultima considerazione: Mario Draghi è indubbiamente capace, furbo e intelligente.
Per “salvare l’euro” autorizzò un Quantitative Easing tirando per i capelli le regole di mandato della BCE, isolando e passando oltre alla stolida riluttanza della Bundesbank.
Si fosse imposto il punto di vista di Weidmann, di Schauble e delle altre teste di legno di Berlino e Francoforte dallo spirito essenzialmente impolitico, il sistema sarebbe, con loro stesso danno, saltato.
Draghi così, più che sputare fuoco, ha già assunto la funzione di “pompiere” del sistema. La sua chiamata da parte del Quirinale, perciò la si può intendere alla stessa maniera.
Mario Draghi sarà un nuovo Mario Monti? Personalmente penso di no: sarà peggio.
Certo, le analogie della chiamata, la retorica del “fate presto”, lo spirito messianico, l’incensamento massmediatico, il largo consenso parlamentare, l’apprezzamento UE, etc… sono tutte infelici analogie che fanno riflettere.
Tuttavia, in base a quanto abbiamo detto, sembra anche lecito pensare che Draghi sia stato convocato per svolgere una funzione differente (come fa intendere pure lo spirito possibilista in fase di consultazioni della Lega, inclusi esponenti notoriamente anti-Euro come Borghi e Bagnai).
Probabilmente, anche a Bruxelles e a Francoforte c’è qualcuno che si rende conto che la crisi senza precedenti del Covid, che va ad insistere su economie, come quella italiana, già martoriate, se non debitamente gestita, rischia di riproporre quella “spaccatura del sistema” che si vuole evitare ad ogni costo.
Ad oggi, la BCE della Lagarde, come tutte le banche centrali del mondo, ha fatto l’unica cosa che poteva fare: sostenere massicciamente gli acquisiti di titoli per sostenere gli accresciuti stock di debito. Improbabile che una tale politica possa essere oggetto di revisione.
Può darsi che Draghi possa rappresentare un certo settore dell’establishment europeista che “prendendo atto della situazione”, piuttosto che avversarla, voglia furbescamente trarne profitto, cavalcandola per arrivare – come apertamente detto a Rimini – all’obiettivo di rendere il Next Generation EU, non tanto uno strumento anticiclico transitorio, quanto l’embrione di un Ministero del Tesoro Unico dell’Unione Europea.
È perciò non solo possibile, ma anche altamente probabile, che la missione di Draghi non sia quella di una “austerity bis”, giudicata pericolosamente insostenibile, quanto quella di approfittare della crisi per completare il processo di integrazione-disgregazione europea.
Come? Come abbiamo detto, al momento, una quota abbondate di debito pubblico (italiano e non solo) è di fatto monetizzata dalla BCE – per inciso: una quota ben più abbondante dei famosi fondi del Next GenerationEU, strumento perciò di per sé macroeconomicamente inutile. Draghi potrebbe prendersi un mandato per andare a Bruxelles a negoziare lo scorporo di questo debito dai parametri del patto di stabilità, e similmente potrebbe andare a negoziare con gli ex colleghi dell’Eurotower di Francoforte un mantenimento, con diversi gradi di possibile formalizzazione dell’operazione, della situazione di monetizzazione sostanziale.
Similmente, potrebbe richiedere nuovo spazio fiscale per avviare manovre espansive per “mantenere a galla” l’Italia ed evitare un collasso dell’euro.
La crisi del 2011-2012 fu una crisi dei debiti sovrani, causata dalle incompletezze insite nelle imperfezioni dell’architettura dell’unione monetaria e dalle deficienze del mandato e delle regole di funzionamento della BCE. Draghi tenne a galla la barca dell’Eurozona (e lo ribadiamo: causando danni gravi all’Italia) con politiche monetarie non convenzionali, o meglio, non convenzionali per la BCE.
Possibile che adesso, che la barca dell’Eurozona rischia di affondare per una crisi senza precedenti dell’economia reale – la quale si somma ad un tessuto produttivo già impoverito – Draghi sia stato ritenuto l’uomo giusto per avviare politiche fiscali non convenzionali, sanando le vistose imperfezioni e incompiutezze della UE. Leggi: moderata espansione fiscale, nuova spesa produttiva, riconsiderazione del trattamento del debito a livello europeo, gestione dei bilancii pubblici con un superiore grado di coordinazione comunitaria (come già implicato dal Next Generation EU).
Dovesse farlo con la Lega di Salvini, quest’ultima, obliate le origini e le campagne “No Euro”, potrebbe gloriarsi di essere stato il movimento capace di “riformare la UE dall’interno”, di “aver cambiato l’atteggiamento della UE verso l’Italia”.
Ovviamente, in questo contesto sarebbe estremamente difficile fare politica e propaganda sovranista, e che vi sia in Draghi anche l’intento di dividere e disarticolare le forze sovraniste è piuttosto evidente.
Il prezzo di tutto ciò? Già a Rimini, come più volte ricordato, Draghi è stato esplicito al riguardo: già il Next Generation EU è un buon seme per il raggiungimento dello scopo.
Il prezzo politico di tutte queste meraviglie non potrebbe che essere uno: la rinuncia dell’Italia, come di qualunque altra nazione europea, a sé stessa, il patto faustiano di rinunciare alla propria anima per aprirsi l’incerta possibilità di sussistere come provincia del mercato e dello stato unico europeo.