La Storia e i numeri
Tutto comincia nel 1947, quando il 5 maggio nasce in Italia la prima compagnia aerea per il trasporto passeggeri. Conosciuta come Alitalia–Aerolinee Italiane Internazionali, effettua il primo volo nazionale Torino – Roma – Catania con un Fiat G-12 E. Due mesi dopo, è la volta del primo volo internazionale Roma-Oslo, con un aereo Savoia Marchetti SM95 e 38 passeggeri a bordo.
Nel 1950 volano le prime hostess Alitalia, le cui divise sono disegnate dalle Sorelle Fontana, una casa di alta moda fondata nel ‘43 dalle tre sorelle nonché stiliste italiane.
Nello stesso periodo, entrano in linea i primi quadrimotori DC4 e si introducono anche i primi pasti caldi, che la portano a diventare ulteriormente una Compagnia d’élite.Nel 1957, dopo la fusione con la LAI, diventa Alitalia – Linee Aeree Italiane con 3.000 dipendenti e una flotta di 37 aerei. Compagnia Aerea fiore all’occhiello dell’Italia, ci rappresenta in tutto il mondo: nella classifica internazionale delle compagnie aeree, Alitalia passa dal ventesimo al dodicesimo posto, la cortesia e la professionalità dei dipendenti è proverbiale, sempre nello stesso anno diventa la compagnia ufficiale delle Olimpiadi di Roma. Entrano in flotta i primi jet Douglas DC-8, l’Alitalia supera il milione di passeggeri e viene trasferita presso il nuovo aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino. Nel 1965, la compagnia supera i tre milioni di passeggeri trasportati ed entrano in flotta i DC 9-30. Alitalia è la prima compagnia aerea europea a volare con una flotta di soli velivoli a reazione.
Con l’arrivo dei Caravelle e l’ingresso dei jet, la compagnia decide di aprire una propria scuola di volo, espressamente concepita per l’addestramento dei piloti al volo a reazione. Viene così scelto come velivolo l’Aermacchi MB 326, lo stesso usato dai cadetti ufficiali piloti dell’Aeronautica Militare, semplicemente disarmato e dotato di strumentazione commerciale, conosciuto come la versione “D”. La base operativa è quella della Scuola di Volo Basico Aviogetti SVBA dell’Aeronautica Militare di Galatina (Lecce), il tutto gestito interamente da piloti istruttori della Compagnia.
Nel 1969, Neil Armstrong, astronauta e comandante dell’Apollo 11, è il primo uomo a toccare il suolo lunare e nell’occasione Alitalia dedica a lui il Boeing 747 che copre la tratta Roma-New York, e riporta il suo nome sulla fusoliera del Jumbo.
Nel 1982 l’Alitalia trasporta 10 milioni di passeggeri, nel 1993 trasporta quasi il 40% dei passeggeri di voli internazionali ed è la terza compagnia aerea europea dopo Lufthansa e British Airways, nel 1994 la compagnia raggiunge i 20 milioni di passeggeri e nel 1995 ha già trasportato il 50% di tutti gli italiani che hanno preso un aereo. Come mai oggi, invece, si trova in grave difficoltà economica? Come è potuta diventare il corpo mutilato e sofferente che è oggi?
L’analisi
Cerchiamo di fare luce su questa vicenda che si trascina da tanto tempo. Per trovare la risposta bisogna andare indietro di qualche anno. Già dagli anni ’80/’90 la Compagnia viene usata da alcuni politici per “sistemare” i propri parenti e protetti: vengono creati uffici ad hoc, perché ovviamente vengono assunti come dirigenti, non si vuole viaggiare in seconda classe, l’importante è avere una scrivania da dove poter curare i propri interessi. Per questo motivo troviamo direttori, direttori dei direttori, vice direttori dei vice direttori. La compagnia è organizzativamente confusa, gestita in modo approssimativo.
Famosissima la mala gestione di Giancarlo Cimoli, che dopo aver portato letteralmente le Ferrovie dello Stato al disastro economico, fu messo al timone della nostra Compagnia di bandiera. Risultato? Un altro disastro economico. Oltre a non aver raggiunto alcun obiettivo prefissato ed aver affossato irrimediabilmente la Compagnia, riuscì ad ottenere una buonuscita di quasi 3 milioni di euro, molto più alto di quelli chiesti dai vari presidenti di altre compagnie di bandiera che chiusero in positivo: sei volte quello di Air France e il triplo di British Airways, aziende di dimensioni maggiori rispetto ad Alitalia… come è possibile? Perché invece della buonuscita non gli è stato chiesto da subito un risarcimento per i danni causati?
Verso la fine degli anni ’90, con l’entrata nell’Europa e nell’euro, la crisi si fa sentire ulteriormente, il prezzo del carburante e le tasse aumentano, subito dopo la deregulation e l’arrivo delle famose low-cost quali Easy Jet, Ryanair, Vueling, Volotea, contribuiscono al disastro: impossibile competere con le loro tariffe. Facciamo un esempio tratto da un altro settore: al piccolo imprenditore italiano che produce vestiario e paga le tasse in Italia, il costo di un semplice paio di pantaloni da confezionare è 5 volte tanto quelli prodotti in Bangladesh e poi spediti in Italia presso qualche brand di abbigliamento (magari anche famoso), perché giustamente ha l’obbligo di assumere seguendo delle regole stabilite dalla legge, deve pagare gli stipendi, le tredicesime, tenere conto delle ferie, rispettare e far rispettare l’antinfortunistica, quindi locali a norma, sistemi antincendio, abbigliamento adatto e corsi obbligatori per chi opera; mentre in Bangladesh, al contrario, lavorano donne, uomini e bambini in locali fatiscenti e pericolanti (qualche anno fa ne è crollato uno, causando più di 1000 tra morti e feriti) non esistono regole antinfortunistiche, bambini hanno perso gli arti lavorando su macchinari vecchi e pericolosi, si lavora fino a 20 ore per guadagnare 1 euro al giorno. Pensiamoci… ma questa è un’altra storia, torniamo a noi – e comunque ricordiamocela, quando andiamo ad acquistare pantaloni a 20 euro!
Una logica simile la si può applicare all’ambiente aeronautico, con compagnie aeree che se ne infischiano delle regole, delle tasse da versare sul territorio in cui lavorano, delle intimidazioni al personale imbarcato per la vendita (obbligata) dei prodotti a bordo, dello sfruttamento sulle ore di volo, sulle ferie. Il caso Ryanair di questa estate, con le cancellazioni fino a maggio 2018 di parecchi voli, è legato alle dimissioni presentate dal personale di volo, stanco di esser spremuto come un limone. Basta andare su internet per trovare questi casi, a volte denunciati dal personale stesso.
Così la concorrenza sleale aumenta e il sistema delle partecipazioni statali svanisce, e questo fa “precipitare di quota” Alitalia. Si arriva così al fatidico 2008 e nasce la CAI, la nuova Compagnia Aerea Italiana, con l’intervento nel capitale di una serie di imprenditori, la famosa cordata dei capitani coraggiosi, che oltre al coraggio avevano anche qualche interesse “laterale” nella vicenda, mentre Air France (una concorrente!) si riserva il 25% del capitale, tenendo quindi un piede nella società, ottenendo inoltre un diritto di veto nelle decisioni importanti.
Naturalmente tutti i debiti e i problemi della compagnia vengono scaricati sui contribuenti. Con la bad company si trova il modo di scaricare un danno complessivo il cui ammontare esatto è difficile da calcolare, ma che è stimabile, a leggere i giornali, tra i 6 e i 7 miliardi di euro.
Mettiamoci poi gli errori sul piano strategico. Perché si tagliano le rotte del lungo raggio, quando in pratica vi è una maggiore domanda e una minore possibilità di fallimento, a fronte di una minore concorrenza e in particolare dell’assenza di compagnie low-cost? Al contrario, si punta in gran parte sugli slot nazionali, mantenendo prezzi alti per i biglietti e sperando così di far quadrare i conti, non considerando che nei trasporti si vede già l’arrivo dell’alta velocità ferroviaria oltre alle già citate compagnie low-cost, che conquistano quote di mercato. Alitalia si vede quindi poi costretta ad abbassare i prezzi, il fatturato della compagnia non decolla e i conti sono in sofferenza. L’Alitalia nel 2013 è di nuovo sull’orlo del fallimento, con perdite sempre più crescenti. Da una parte il ministro di sinistra dei Trasporti Delrio dichiara che si farà tutto il possibile per salvare la compagnia, ma che di aiuti statali non se ne parla, intervenendo solo all’ultimo momento, appena pochi giorni prima che manchi il carburante; dall’altra parte si palesa un chiaro interesse su Ryanair, facendo annullare l’incremento delle tasse di 2,50 euro, agevolando gli stranieri fino a quando, nell’aprile 2017, consegna definitivamente i libri in tribunale dichiarando appunto lo stato di insolvenza.
Le conclusioni
Negli anni la compagnia è stata sbranata e spolpata da lupi affamati, ridotta all’osso. Ovviamente non destava più interesse a nessuno, si stimavano perdite di circa 100/200 milioni di euro, non era più la gallina dalle uova d’oro, la maggior parte dei top manager subentrati si preoccupavano di curare i propri interessi e non quelli dell’Azienda, i vari piani industriali messi in atto prevedevano sempre taglio del personale, diminuzione di stipendi (il famoso contributo di solidarietà, che non è servito a nulla) diminuzione delle ferie, cassa integrazione a rotazione. Tutto sempre sulle spalle dei lavoratori, sembra quasi come fa il governo con i cittadini italiani che quando non sa dove andare a pescare i soldi aumenta le tasse. Gli unici che hanno veramente creduto fino in fondo in Alitalia sono i dipendenti stessi, lo hanno scritto di loro pugno con i numerosissimi messaggi, stampati e attaccati sulla fusoliera di due Airbus un 330 e un 320. Ne cito qualcuno per dare un’idea:
“Accompagnerò i nostri ospiti sempre più lontano e con cura, senso di ospitalità e calore, li terrò sempre più vicini al cuore della MIA Alitalia”
“Non è tanto cosa facciamo, ma come lo facciamo che realmente conta. L’entusiasmo può trovare le opportunità ma l’energia crea la maggior parte di esse”
“Voglio lavorare con passione e tenacia, per fare di Alitalia l’orgoglio dei suoi passeggeri, e dei suoi dipendenti in Italia e nel mondo”.
Nemmeno queste promesse scritte col cuore sono servite. Che vergogna non aver voluto comprendere il valore reale di Alitalia! Speriamo vivamente si possa ancora in extremis fare qualcosa per salvarla dal cupo destino verso cui è stata indirizzata. Merita di meglio, merita manager pronti a rilanciarla con strategie valide, tagliare l’incompetenza e sostituirla con la competenza, merita la passione, la stessa che dimostrano tutti i giorni i dipendenti. Non dimentichiamo la gloriosa storia passata, il fatto che era diventata la terza compagnia europea. Forse il famoso “referendum”, dove ha vinto il NO, era stato studiato ad hoc per poter dare la colpa del fallimento al dipendente e non alla mala gestione. Col SI i dipendenti avrebbero accettato l’ennesimo taglio di personale, quindi altre famiglie senza lavoro, e la riduzione ulteriore degli stipendi del personale di volo – per cosa? Per aver qualche mese di ossigeno in più? Ecco che allora il buon senso del lavoratore di Alitalia si è manifestato: a fronte della proposta indecente di lasciare a casa 980 dipendenti, si è deciso di rimanerci tutti, costi quello che costi e muoia Sansone con tutti i Filistei!!
Questa dimostrazione di solidarismo suggerirebbe una soluzione possibile, forse la più bella sul piano morale e più pratica su quello concreto: rendere i dipendenti dell’Alitalia i proprietari della Compagnia. La conseguenza logica sarebbe poi quella di far emergere la nuova classe dirigente aziendale da quelli che sono stati e sono carne, sangue e spina dorsale della Compagnia in volo e a terra – equipaggi, tecnici, impiegati di tutte le mansioni – e che conoscono al meglio tutti i problemi pratici da affrontare. Si tratterebbe in sostanza di socializzare l’Alitalia introducendo anche la pratica della cogestione e proteggendo la Compagnia da parassiti e squali della finanza. Non manca chi comincia a pensare a ipotesi del genere, ma si vede di fronte un Sistema politico che favorisce privatizzazioni, liberismo, sfruttamento del personale e avversa socializzazione, cogestione e dignità del lavoratore. L’ideologia capitalista del “mercato del lavoro” contro quella popolare del “Mondo del Lavoro”.
Forse la stessa identica fine la sta facendo il nostro Bel Paese se non ce lo riprendiamo per tempo, perché questo problema non è solo di Alitalia, questo è purtroppo anche il problema di tutta la nostra Italia. Ringraziamo questa Europa per averci abbandonato di fronte agli sbarchi incontrollati dei clandestini, per aver messo in ginocchio la nostra patria, per aver introdotto una moneta che ha distrutto la nostra economia, per aver autorizzato le low-cost e la loro concorrenza da pirati, per aver affondato i nostri fratelli Greci. Non a caso dopo nemmeno 17 anni l’Inghilterra si è tirata indietro, l’Austria ha minacciato più volte di costruire delle barriere ai confini con l’Italia, la Polonia e altri stati dell’Est vorrebbero opporsi alle direttive europee.
Per non parlare poi del brand Made in Italy venduto all’estero: la Ducati, la Pirelli, la Fiat ferroviaria, il marchio d’alta moda Valentino, Gianfranco Ferrè, la Parmalat, Gucci, Pomellato, e questi sono solo alcune delle 47 e forse più aziende italiane “perdute” senza dimenticare, per gli appassionati di calcio, che l’Inter e il Milan non parlano più italiano.
In questo contesto si capisce il messaggio di un dipendente immortalato sulla fusoliera di un Airbus Alitalia: “Prometto di trattare i passeggeri come l’azienda tratterà me! “