È di qualche giorno fa la notizia della decapitazione della statua del Cristo alla Costa del Vento, Montalto Pavese, prontamente sostituita grazie alla buona volontà di un comitato di cittadini. È di oggi la notizia degli atti vandalici (scritte a bomboletta e sassi alle finestre) che hanno colpito la Basilica di San Marcello in Montalino, a Stradella. Sempre oggi, sulla stampa locale ha ampia eco la caduta di calcinacci dalla torre Belcredi di via Porta, Pavia.
No, non è in corso un attacco alla nostra identità, al nostro patrimonio storico-artistico ed alla religione dei nostri padri. L’attacco ha già avuto i suoi effetti decenni fa, quando è stato sferrato. Ci troviamo oggi in una situazione diversa: la metaforica quiete del “dopo bomba”. La battaglia (forse non la guerra, ma questo lo decideremo noi con il nostro comportamento nei prossimi anni) è persa, com’è completamente persa la percezione del valore di ciò che un tempo sarebbe stato da difendere, ed oggi risulta indifferente ai più.
Che bisogno c’è di pensare ad un cumulo di “sassi vecchi”, quando c’è gente che muore di fame? Che bisogno c’è di difendere una chiesa, quando c’è gente che non ha una casa? Personalmente, penso che ce ne sia bisogno, ed anche tanto. Per un semplice motivo: perché chi perde l’ancoraggio alla propria identità, è già uno schiavo, anche se non se ne rende conto, ed agli schiavi è molto più facile negare il diritto ad un pasto o ad un tetto sulla testa.
Mi prendo il rischio di suscitare le ire dei “benaltristi” e, tralasciando in questa sede volutamente le implicazioni religiose del discorso, mi permetto una riflessione su un argomento spesso trascurato: quello del patrimonio edilizio storico e del suo valore.
Quando abbiamo a che fare con una antica chiesa, una cascina, un castello, un palazzo, dobbiamo capire che non si tratta solo di “sassi vecchi”, ma di qualcosa in grado di influire profondamente sul territorio e sull’immaginario della popolazione locale.
La tutela dell’edilizia storica, al pari della tutela del paesaggio, è importantissima, e spesso fa la differenza tra un territorio vivo, in cui si lavora, si rimane per svagarsi, e si investe – da una parte – ed un’accozzaglia indistinta di quartieri dormitorio – dall’altra.
Semplificando all’estremo, ove un individuo si svegliasse la mattina, aprisse la finestra, e vedesse la tipica cascina lombarda dai muri spessi in cotto, la classica chiesa barocca seicentesca, la pianura con le sue risaie e le sue nebbie, saprebbe immediatamente dove si trova. Saprebbe chi è. Saprebbe da dove viene. Stabilirebbe un legame con la propria terra, si identificherebbe con la gente che la popola, riconoscendola come comunità di storia e di destino, e sarebbe un domani, ipoteticamente, pronto a difenderla, rischiando del proprio.
Se invece lo stesso individuo si svegliasse la mattina, aprisse la finestra, e vedesse un’infilata di casermoni in cemento armato in stile “simil-sovietico”, ecco, non saprebbe proprio nulla. Potrebbe trovarsi a New York, a Pechino, a Pripyat, a Cesenatico. Lo scenario sarebbe perfettamente credibile in tutti i casi, limitandosi a ciò che vede. Non stabilirebbe nessun legame con la propria terra e con la gente che la abita, perché sarebbe semplicemente indifferente, intercambiabile con un’altra. Sarebbe ridotto ad atomo, un individuo isolato e svincolato dal contesto, che pensa solo ai propri ben definiti interessi personali e non si preoccupa nemmeno di conoscere il proprio vicino di pianerottolo. E di difendere ciò che è comune, dal momento che non è possibile percepirne il valore e l’unicità, non ci penserebbe proprio.
Da una parte ci sono gli uomini liberi, con un’identità definita, con un coinvolgimento emotivo tale da renderli capaci di gesti altruisti nei confronti della comunità; dall’altra gli schiavi, atomi, apolidi, che non combatteranno mai per niente e per nessuno se non per la propria convenienza.
Tutto questo, sì, cambia in base a ciò che vediamo dalla nostra finestra. Per questo è importante la tutela del territorio, dal punto di vista ambientale, ma anche da quello storico-artistico.
Abbiamo già perso tante testimonianze di storia, di civiltà e di bellezza in passato. In un passato anche recente: come dimenticare il tragico crollo della Torre Civica di Pavia, avvenuto nel 1989? Vogliamo prenderci il rischio, maledettamente concreto, di perderne altre? Vogliamo davvero liquidare il problema delle torri medievali pavesi come fatto con la torre di San Pancrazio, con una semplice impalcatura? Chi lo spiegherà ai parenti delle vittime di un prossimo inevitabile crollo? Vogliamo liquidare la mancata percezione del valore del nostro patrimonio comune da parte delle nuove generazioni come semplice irrequietezza giovanile?
No, sbagliato: i problemi sono a monte, e sono molto più gravi. Il problema è nel modello educativo che proponiamo, teso innanzitutto a convincere i ragazzi che tutte le civiltà del mondo e nella storia sono equivalenti. Sotto questa “schiacciasassi” ideologica cade tutto quanto: niente ha più valore, niente è più davvero “unico”, tutto e tutti sono intercambiabili e sostituibili. Nessuno, d’altro canto, è più in grado di esprimere giudizi qualitativi, e nemmeno ne ha l’interesse: sarebbe impopolare, quando non pericoloso.
Il problema è nel modello amministrativo che proponiamo, che fa somigliare le giunte comunali più a consigli d’amministrazione aziendali che a rappresentanti del popolo e voci del territorio. E se lo scopo dell’istituzione è quello di fare utili, è chiaro che investire in valori simbolici è davvero fuori discussione.
«Il figlio può essere un barbaro», ammoniva Antoine de Saint Exupéry, «Senza l’opera di trasmissione dei significati della vita, da una generazione all’altra, le nuove generazioni saranno solo dei barbari accampati nel nostro territorio. Non capiranno, non conserveranno e non trasmetteranno più niente di quello che ha alimentato la vita dei loro avi». E questa interruzione violenta nella trasmissione del sapere e della civiltà non è pericolosa solo per i “sassi vecchi” che perderemo, ma per la società tutta.
È importante investire in aiuti per le imprese: un tessuto imprenditoriale sano è di interesse pubblico. È importante sostenere lo stato sociale, perché nessuno venga abbandonato alla miseria: un rimedio alla fragilità sociale, in tempi di crisi cupa, è di interesse pubblico. Ma non è meno importante conservare la nostra storia e la nostra bellezza, ciò che ci rende unici: allevare una gioventù conscia di se stessa e del proprio valore, stimolando in essa la solidarietà sociale, è di interesse pubblico.