Il Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 87, comma 4, della Costituzione repubblicana vigente dispone del potere di promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
In assenza di un espresso potere di rinvio, previsto invece dall’art. 74 in occasione della promulgazione delle leggi ordinarie dello Stato, la dottrina si è interrogata circa la sua esistenza all’atto di emanazione. Se una parte, ancorata ad una lettura troppo letterale del Testo fondamentale, esclude qualunque rinvio presidenziale, un’altra, guardando al ruolo del Presidente della Repubblica quale “custode” della legalità costituzionale, lo riconosce.
La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 406/1989, ha aderito a questa seconda interpretazione, affermando come, al momento dell’emanazione di un decreto-legge o di un decreto legislativo delegato, il Capo dello Stato sia chiamato ad esercitare un controllo di “intensità almeno pari” a quanto avviene in sede di promulgazione. Ammesso, dunque, il potere di rinvio, resta da chiedersi quale sia la sua estensione.
Pare poco convincente la tesi di coloro i quali ritengono che il Presidente debba limitarsi ad un controllo formale dell’atto emanando ed a verificare, in particolare nel caso di un decreto-legge, solo la evidente mancanza o la erronea valutazione, da parte del Governo della Repubblica, dei presupposti giustificativi di straordinarietà, urgenza e necessità (sent. n. 29/1995 Corte cost.). Con riferimento ai provvedimenti provvisori aventi forza di legge ex art. 77, comma 2, della Costituzione, va rilevato come questi producano effetti giuridici immediati, potendo determinare un’alterazione nei rapporti tra gli organi costituzionali o all’interno di essi o incidere in modo sproporzionato su alcuni diritti costituzionalmente tutelati.
In ragione di questo, è necessario, allora, che il potere di rinvio sia stringente proprio in virtù della peculiare natura della fonte e degli effetti che essa determina nell’ordinamento. Ora, com’è possibile non rinviare un decreto-legge, quale il n. 19/2020 (convertito, con modificazioni, nella legge formale n. 35/2020), laddove, nella disposizione normativa dell’art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore la facoltà, attraverso i DPCM, di attuare e modulare le misure di contenimento per evitare la diffusione del contagio dell’agente virale Sars-Cov-2 di cui al precedente art. 1, comma 2?
Il Presidente della Repubblica ha consentito l’emanazione di un atto avente forza di legge volto a conferire alla componente monocratica dell’Esecutivo il potere di bilanciare interessi collettivi e interessi individuali mediante una fonte secondaria di produzione del diritto pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana senza alcun controllo preventivo di legittimità, salvo un mero obbligo di informativa al Parlamento del contenuto del DPCM. Finiamola, dunque, con il mito del Presidente della Repubblica quale “potere neutro”.
Questa caratterizzazione del Capo dello Stato in regime parlamentare è ritenuta “sotto ogni riguardo inaccettabile” da Carlo Esposito (1902-1964), il quale la sottopone ad una serrata e decisiva critica che si conclude nel modo seguente: “secondo ogni seria ricostruzione realistica, quando si attribuiscono poteri al Capo dello Stato, questi non sono dati alla “Dea Ragione”, ma a un uomo con i suoi vizi e le sue virtù, con le sue passioni e con i suoi inevitabili orientamenti che, nell’esercizio delle sue funzioni, sarà animato dal desiderio… di far valere e prevalere il proprio potere, i propri orientamenti, le proprie idee sulle altre”.
Prof. Daniele Trabucco