Signor Presidente della Repubblica,
Signore e signori ministri, parlamentari, ufficiali generali secondo il vostro stato e grado.
Non si canta più la settima strofa della Marsigliese, detta “strofa dei figli”. È, tuttavia, ricca d’insegnamenti. Lasciamole la cura di prodigarci:
«Noi entreremo in servizio quando i nostri avi non ci saranno più. Noi vi troveremo le loro ceneri, e la traccia delle loro virtù. Ben meno gelosi di sopravvivergli che di condividere i loro feretri, avremo il sublime orgoglio di vendicarli o di seguirli»
I nostri avi, sono quei combattenti che hanno meritato che li si rispetti.
Sono, ad esempio, i vecchi soldati di cui voi avete calpestato l’onore in questi ultimi giorni. Sono quelle migliaia di servitori della Francia, firmatari di una lettera aperta di puro buon senso, dei soldati che hanno dato i loro anni più belli per difendere la nostra libertà, obbedendo ai vostri ordini, per fare le vostre guerre o mettere all’opera le vostre restrizioni di budget, che voi avete infangato, mentre il popolo di Francia li sosteneva.
Queste persone, che hanno lottato contro tutti i nemici della Francia, voi le avete trattate da faziosi, mentre il loro solo torto è stato d’amare il loro paese e di piangere la sua evidente disgregazione.
In queste condizioni, tocca a noi, che siamo recentemente entrati in servizio, di scendere nell’arena per avere semplicemente l’onore di dire la verità.
Noi siamo tra quelli che i giornali hanno chiamato “la generazione del fuoco”.
Uomini e donne, militari in attività, di tutte le armi e di tutti i gradi, di tutte le sensibilità, noi amiamo il nostro paese. Questi sono i nostri unici titoli di gloria. E, anche se non possiamo, a livello di regolamenti, esprimerci a volto scoperto, è per noi del tutto impossibile tacere.
Afghanistan, Mali, Centrafrica o in altri luoghi, un certo numero di noi ha conosciuto il fuoco nemico. Certi ci hanno lasciato dei camerati. Hanno offerto la loro pelle per distruggere l’islamismo, al quale voi fate delle concessioni sul nostro suolo.
Quasi tutti abbiamo conosciuto l’operazione Sentinelle [operazione simile a “Strade Sicure”, con impiego di unità dell’esercito per fini di polizia in chiave antiterrorismo, ndr]. Vi abbiamo visto con i nostri occhi le banlieue abbandonate, i compromessi con la delinquenza. Abbiamo subito i tentativi di strumentalizzazione di più comunità religiose, per le quali la Francia non significa nient’altro che un oggetto di sarcasmo, di disprezzo o direttamente d’odio.
Abbiamo sfilato il 14 luglio. E nonostante la folla benevolente e variegata, che ci acclamava poiché noi ne siamo l’emanazione, ci è stato chiesto di diffidarne per dei mesi, impedendoci di circolare in uniforme, facendoci delle potenziali vittime, su di un suolo che eppure siamo capaci di difendere.
Sì, i nostri predecessori avevano ragione al fondo della loro lettera, nella sua interezza. Vediamo la violenza nelle nostre città e nei nostri villaggi. Vediamo il comunitarismo installarsi nello spazio pubblico, nel dibattito pubblico. Vediamo l’odio della Francia e della sua storia diventare la norma.
Non spetta a dei militari di dire ciò, argomentate voi. Ben al contrario: perché siamo apolitici nelle nostre valutazioni delle contingenze, siamo a darvi una constatazione professionale. Poiché questa decadenza l’abbiamo vista in parecchi paesi in crisi. Essa precede il collasso. Essa annuncia il caos e la violenza e, contrariamente a quanto voi affermate da qualche parte, questo caos e questa violenza non verranno da un “pronunciamento militare” ma da una insurrezione civile.
Per cavillare sulla forma della lettera aperta dei nostri predecessori, piuttosto che riconoscere l’evidenza delle loro constatazioni, bisogna essere dei veri vigliacchi. Per invocare un dovere di obbedienza mal interpretato secondo il fine di far tacere dei cittadini francesi, bisogna essere dei veri furbi. Per incoraggiare i quadri dirigenti dell’esercito a prendere posizione e a esporsi, prima di sanzionarli rabbiosamente non appena scrivono qualcosa di diverso dai bollettini di guerra, bisogna essere dei veri perversi.
Vigliaccheria, furbizia, perversione: questa non è la nostra visione della gerarchia.
L’esercito è al contrario, per eccellenza, il luogo dove si dice il vero perché ne va della propria vita. È questa fiducia nella istituzione militare che noi nominiamo nei nostri giuramenti.
Sì, se una guerra civile scoppiasse, l’esercito manterrà l’ordine sul nostro suolo, perché glielo si domanderà. È la definizione stessa di guerra civile. Nessuno vuole una situazione tanto terribile, i nostri predecessori non più di noi, ma certo, di nuovo, la guerra civile cova in Francia e voi lo sapete perfettamente.
Il grido d’allarme dei nostri predecessori rinvia infine a degli echi più lontani. I nostri avi sono quei resistenti del 1940, che, spesso, erano trattati come dei faziosi ma che hanno continuato il combattimento mentre i legalisti, soverchiati dalla paura, puntavano già a venire a patti con il male [sic], per limitare i danni; erano i ragazzini di 14 anni che morivano per qualche metro di terra, mentre voi abbandonate senza reagire dei quartieri interi del nostro paese alla legge del più forte; sono tutti i morti, noti o ignoti, caduti al fronte o dopo una vita di servizio.
Tutti i nostri avi, coloro che hanno fatto del nostro paese ciò che è, che hanno definito il suo territorio, difeso la sua cultura, dato o ricevuto degli ordini nella sua lingua, hanno combattuto per lasciarvi trasformare la Francia in uno stato fallito? Che sostituisce la sua impotenza sovrana, sempre più evidente, con una tirannide brutale contro quei servitori che la vogliono ancora avvertire?
Agitatevi, Signore e Signori. Non si tratta più, questa volta, d’emozione su prenotazione, di frasi fatte o di mediatizzazione. Non si tratta di prorogare i vostri mandati o di conquistarne di altri. Si tratta della sopravvivenza del nostro paese, del vostro paese.