Il decreto-legge 01 aprile 2021, n. 44 convertito, con modificazioni, nella legge ordinaria dello Stato n. 76/2021 ha introdotto, mediante la disposizione normativa dell’art. 4, l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione contro l’agente virale Sars-Cov2 per il personale medico, paramedico, per i farmacisti e, più in generale, per gli operatori che svolgono attività di interesse sanitario.
Si tratta di un requisito essenziale per lo svolgimento e la prosecuzione dell’attività lavorativa, pena la sospensione (non il licenziamento) senza retribuzione fino al 31 dicembre 2021 ed a condizione che non sia possibile adibire l’obbligando a mansioni che non implichino contatti con soggetti terzi.
Premesso che l’obbligatorietà in sé di un trattamento sanitario non è in contrasto con il Testo fondamentale, in quanto è prevista dal comma 2 dell’art. 32 della Costituzione repubblicana vigente e che la stessa costituisce il risultato di una valutazione discrezionale del legislatore (sentenza n. 307/1990 Corte cost.) statale e non regionale (si veda la sentenza n. 5/2018 Corte cost.), l’art. 4 pone, comunque, alcuni non irrilevanti problemi di costituzionalità:
1) in primo luogo, non è tutelata in modo adeguato e proporzionato, nella logica del bilanciamento, la dimensione individuale della salute, la quale trova il suo riconoscimento costituzionale nel comma 1 dell’art. 32 Cost. È vero, da un lato, che, in caso di pericolo per il singolo, l’inoculazione del vaccino può essere differita nel tempo o omessa a seguito di documentazione probante certificata dal medico di famiglia, ma è anche vero, dall’altro, che l’onere della prova rimane in capo ai soggetti che compongono le categorie interessate dall’obbligo. Il giudice delle leggi, con la sentenza n. 258/1994, ha “ammonito” il legislatore, sia pure dichiarando inammissibili le questioni sollevate, di individuare e di prescrivere “in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze”. Il legislatore, in altri termini, al fine di evitare “scelte tragiche”, deve predisporre “tutte le cautele preventive possibili” (punto 4 del cons. in dir. della sentenza n. 118/1996 Corte cost.) affinché la salute individuale non venga compromessa sia pure a favore di quella di tutti. Di tutto questo, invece, nell’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 non c’é alcuna traccia;
2) in secondo luogo, l’Unione Europea, di cui l’Italia è Stato membro, dispone del regolamento (CE) n. 207/2006 per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali da utilizzare in situazioni di emergenza. In tali evenienze, la procedura di autorizzazione all’immissione in commercio è condizionata (CMA). Questo significa che manca una conoscenza completa circa l’efficacia del vaccino nel medio/lungo periodo, che si ignora l’interazione dello stesso con altri farmaci etc…Tuttavia, lo si rende obbligatorio per gli operatori sanitari. Sorge, pertanto, il dubbio, anche ammesso che non vi siano cure mediche (tutto da dimostrare) e che i benefici superino i rischi, se un’immissione condizionata (presupponente dati sufficienti, ma non completi) non violi il limite del rispetto della persona umana che la Costituzione pone quale barriera, nel comma 2 dell’art. 32, per l’introduzione di un trattamento sanitario obbligatorio;
3) in terzo ed ultimo luogo, ci si dovrebbe chiedere chi sono esattamente gli operatori che svolgono attività di interesse sanitario. In occasione della conversione del decreto-legge n. 44/2021 il Parlamento ha inserito, nell’art. 4, il rinvio alla legge formale n. 43/2006 che detta disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica etc…. Ora, l’art. 1, comma 2, della suddetta legge stabilisce che “resta ferma la competenza delle Regioni nell’individuazione e formazione dei profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie come definite dal comma 1”. Detto diversamente e più semplicemente, una certa professione può essere ritenuta da Regione attività di interesse sanitario, e dunque rientrante nella categoria degli obbligandi, ma non da un’altra, determinando in questo modo un trattamento differenziato non coerente in palese contrasto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1, del Testo fondamentale del 1948.
È il trionfo dello Stato “sanitario”, la forma del nuovo “Leviatano” di hobbesiana memoria. Quel “dio mortale” cui dobbiamo la nostra salute e….le nostre oramai “interstiziali” libertà.