Fondamento della società è la famiglia, la quale è, a sua volta, fondata sul matrimonio. Se le famiglie che formano la società sono stabili e solide, la società ne trae conseguentemente beneficio. Affinché ciò si realizzi è necessario che il fondamento della famiglia, ossia il matrimonio, sia a sua volta stabile. La stabilità del matrimonio rimanda al concetto di indissolubilità, ovvero conservazione dell’unione dei coniugi finché morte non separi. In Italia e nelle altre nazioni occidentali, il concetto di indissolubilità del matrimonio è oggi in forte crisi; si potrebbe parlare, senza tema di smentita, di una crisi direttamente proporzionale al caos che regna nelle società stesse.
Per quanto possa sembrare desueta e difficilmente realizzabile, l’indissolubilità dell’unione coniugale, in quanto causa di stabilità, rimane un punto fermo del bene comune, checché ne dicano i cantori dei “diritti civili” sui quali si fonda lo pseudo-paradiso laicista.
“… Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale …” (Catechismo della Chiesa Cattolica – Articolo 7 Il sacramento del matrimonio) |
L’indissolubilità del matrimonio si riscontra sia sul piano naturale che sul piano soprannaturale.
Se il matrimonio è considerato nel suo pieno significato, comprendente la totale donazione di sé al coniuge, allora esso è indissolubile anche secondo l’ordine naturale. Infatti, la totale donazione di sé, finalizzata al raggiungimento dello scopo del matrimonio, che include il sostegno ed il perfezionamento reciproco, implica l’indissolubilità del vincolo.
Unirsi con riserva, ammettendo la possibilità di divorziare – ossia rompere il matrimonio con la persona sposata, per contrarne un altro – significa rifiutare, almeno implicitamente, di donarsi totalmente al coniuge.
È evidente, occorre dirlo, che donazione totale di sé non significa porsi in balia dell’altro incondizionatamente assecondandone ogni desiderio, il dono totale di sé nel matrimonio consiste nel mettere la propria persona a completa disposizione del coniuge affinché, insieme, si colga il fine del matrimonio stesso: l’aiuto ed il perfezionamento reciproco dei coniugi; la generazione, l’allevamento e l’educazione della prole; il rimedio al desiderio sessuale.
L’indissolubilità del matrimonio sul piano naturale, è stata riconosciuta anche dalla sapienza pagana della Roma pre-cristiana. I giuristi romani, infatti, definivano il matrimonio come viri et mulieris coniunctio, individuam consuetudinem vitae continens (unione dell’uomo e della donna implicante un’indivisibile comunanza della vita) (1). In linea di massima il matrimonio per confarreatio (2),contratto fra patrizi, era indissolubile, e per molto tempo il divorzio restò un fatto eccezionale. Tuttavia, verso la fine della Repubblica il divorzio era divenuto una pratica frequente, tanto da costituire una seria minaccia alla stabilità delle famiglie e della società.
Sul piano soprannaturale, l’indissolubilità del matrimonio cristiano si fonda sul suo essere immagine dell’unione fra Cristo e la sua Chiesa; sull’insegnamento costante ed infallibile della Chiesa (Sacra Scrittura e Tradizione) (3); e sul suo essere sacramento (4), ossia dono del Signore Iddio che dà agli sposi la grazia santificante, la quale costituisce l’aiuto Celeste, da assecondare con la volontà di conformarsi al piano di Dio (5), affinché i coniugi possano edificare la famiglia cristiana – luogo nel quale si trasmette e si coltiva la vita, sia nella dimensione naturale che nella dimensione soprannaturale – e mediante questo santificarsi. Il cristianesimo ha riconosciuto la validità e la sacralità del matrimonio – e, di conseguenza, della famiglia che su di esso si fonda – elevandolo alla dignità di sacramento, ministri del quale sono gli stessi sposi che, vicendevolmente, lo conferiscono e lo ricevono (la presenza di un ministro della Chiesa, il sacerdote, serve esclusivamente a sanzionare, a nome appunto della Chiesa, l’unione dei coniugi (6)).
Effetto dell’indissolubilità è la stabilità della famiglia e, di conseguenza, la stabilità della società, dal momento che questa è costituita dall’insieme delle singole famiglie.
Per i cristiani, dunque, il matrimonio civile (7) non è sufficiente a rendere legittima l’unione degli sposi, proprio perché si tratta di un sacramento e in quanto tale, e salvo specifiche eccezioni (8), è conveniente che venga sancito dalla Chiesa per la quale, infatti, fuori dal sacramento non vi è unione legittima, ma concubinato e peccato mortale.
L’incontro tra il dono della grazia santificante – conferita da Dio nel sacramento – e la volontà degli sposi, stimola l’esercizio di tutte le virtù necessarie alla vita della famiglia, tra queste la virtù di fedeltà, senza la quale il matrimonio è destinato a fallire:
- fedeltà a Dio, davanti al quale ci si è sposati impegnando la propria parola e dal quale si riceve il dono della grazia santificante;
- fedeltà al coniuge, col quale ci si è impegnati a dar vita ad una nuova famiglia ed a un progetto di vita comune, aperto alla generazione dei figli e di nuovi cristiani;
- fedeltà alla comunità, davanti alla quale ci si è impegnati a dar vita ad un nuovo nucleo famigliare, che andrà a costituire parte integrante del tessuto sociale e sarà seminario di nuovi cittadini.
In conclusione, è necessario ribadire l’importanza sociale del matrimonio nella sua forma autentica, ossia quella sublimata da Cristo. Al di là di ogni vuoto e melenso sentimentalismo (poiché la vita ben vissuta è una cosa seria e dura, che richiede sacrificio e disciplina), l’unione indissolubile dei coniugi, oltre ad essere l’effetto del totale dono reciproco e della fedeltà a tale proponimento, è indispensabile al bene dei figli generati – i quali hanno il diritto sapere chi siano i loro genitori e di essere da questi allevati ed educati, in una condizione di stabilità che è garanzia di equilibrio e serenità – ed a quello della società civile, la quale, affinché non sia massa amorfa, deve poter contare su uomini e donne rettamente formati nel focolare domestico, luogo naturalmente e primariamente deputato all’accoglienza ed alla formazione morale della persona.
Affinché la famiglia – a fondamento della quale sta il matrimonio, unione stabile e responsabile di un uomo e di una donna – possa essere messa nelle condizioni di adempiere alla sua funzione naturale, è necessario che sia tutelata dalla comunità politica, ossia dallo Stato il quale deve proteggerla sia sul piano morale che su quello materiale, impedendo la diffusione di modelli culturali immorali e garantendo le condizioni di un dignitoso sostentamento materiale.
Parlare oggi di indissolubilità del matrimonio può sembrare un mero esercizio intellettuale, destinato ad avere scarsissimo riscontro nella realtà. La quotidianità, infatti, ci ricorda inesorabilmente lo stato di crisi in cui versano il matrimonio e la famiglia, crisi i cui effetti sono facilmente riscontrabili nel disordine sociale. Sarebbe, tuttavia, folle adeguarsi alle cattive abitudini ed accettare supinamente il degrado, occorre fare uno sforzo e – con l’indispensabile aiuto di Dio, per ricevere il quale bisogna ben disporsi – tendere a realizzare l’ideale.
Note
(1) Nell’antica Roma, il matrimonio aveva una precipua finalità e necessità, ben espressa dal censore Quinto Cecilio Metello Macedonico, il quale, in un’orazione del 131 a.C., letta da Augusto in occasione della presentazione delle sue leggi per l’incremento delle nascite, così si esprimeva:
“Se potessimo vivere senza donne faremmo volentieri a meno di questa seccatura ma dato che la natura ha voluto che non potessimo vivere in pace con loro né vivere senza di loro, bisogna guardare alla conservazione della razza piuttosto che ricercare piaceri effimeri.” Questa dichiarazione, che potrebbe apparire “leggera” e scherzosa, rivela, invece, la concreta, ancorché imperfetta, adesione alla legge naturale che caratterizzava l’ideale romano di vita. “Lo scopo dell’unione degli sposi è in effetti la procreazione dei figli e la loro educazione al fine di assicurare la continuità materiale e morale della città.” (Pierre Grimal, La civiltà dell’antica Roma).
(2) Confarreatio è il nome del rito con il quale si celebrava nell’antica Roma, la più alta e vetusta forma di matrimonio fra appartenenti alla classe patrizia. L’origine del nome è da individuare nell’uso di consumare, durante la cerimonia, una focaccia di farro, che gli sposi mangiavano insieme come figura della vita in comune che si accingevano a condurre. Questo rito implicava un sacrificio alla divinità e la presenza del Pontifex Maximus (il sacerdote), nonché di dieci testimoni nati da matrimoni celebrati con il medesimo rito. “Alla base del matrimonio romano resta vivo il sentimento espresso nella formula dell’impegno che la sposa pronunciava quando la sua mano veniva unita a quella dello sposo: “ubi tu Gaius, ego Gaia” – laddove tu sarai Gaio io sarò Gaia – ovvero la formula dell’identificazione assoluta delle volontà e degli stessi individui per tutta la durata dell’unione.” (Pierre Grimal, La civiltà dell’antica Roma). È facile riscontrare una certa somiglianza tra il rito patrizio della confarreatio e quello del matrimonio cattolico: la condivisione del pane, quasi figura dell’eucaristia; la presenza del sacerdote, a sancire l’unione e la dimensione sacrale dell’atto; la dichiarazione degli sposi, come parte essenziale del rito del quale sono essi stessi i celebranti.
(3) I sacramenti sono i segni visibili ed efficaci della grazia invisibile di Cristo.
(4) Nel vangelo di S. Matteo, cap. 19, Gesù, rispondendo ai farisei, i quali gli chiesero se fosse lecito o meno per un uomo ripudiare la moglie, disse: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una carne sola? Perciò essi non sono più due, ma una sola carne. Non divida l’uomo quello che Dio ha congiunto.” E quando i farisei chiesero nuovamente: “Perché dunque Mosè prescrisse di darle il libello del ripudio e di mandarla via?” Egli rispose loro: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi permise di ripudiare le vostre mogli; ma da principio non era così”.
(5) “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te” (S. Agostino).
(6) Dal Catechismo della Chiesa Cattolica: “La Chiesa normalmente richiede per i suoi fedeli la forma ecclesiastica della celebrazione del matrimonio. Diverse ragioni concorrono a spiegare questa determinazione:
- Il matrimonio sacramentale è un atto liturgico. È quindi conveniente che venga celebrato nella Liturgia pubblica della Chiesa.
- Il matrimonio introduce in un ordine ecclesiale, crea dei diritti e dei doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli.
- Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi sia certezza sul matrimonio (da qui l’obbligo di avere dei testimoni).
- Il carattere pubblico del consenso protegge il “SI” una volta dato e aiuta a rimanervi fedele”.
(7) Il matrimonio civile è una formalità prescritta dalla legge al fine di dare gli effetti civili agli sposi ed ai loro figli.
(8) Vi possono essere casi eccezionali in cui il sacramento può essere conferito da un cristiano laico, ossia una persona che non sia un ministro ordinario della Chiesa (come per es. un sacerdote). È il caso del battesimo: una persona non battezzata, che si trovi in uno stato di gravissima necessità (per es. prossimo alla morte), può ricevere il battesimo da un battezzato laico. Nel caso, invece, di un uomo ed una donna cristiani – i quali non abbiano impedimenti secondo la legge della Chiesa – che si trovassero nell’impossibilità di unirsi in matrimonio davanti ad un ministro della Chiesa, potrebbero farlo, in via eccezionale, assecondando le intenzioni della Chiesa sul matrimonio e con la promessa di regolarizzare, appena possibile, la propria condizione davanti alla Chiesa stessa.