Il fascismo come fenomeno storico mondiale

di Marzio Gozzoli

La genesi europea

Se da una parte l’accusa di “fascismo” è ricorrente nelle polemiche politiche tanto da essere una delle armi propagandistiche più inflazionate delle sinistre per criminalizzare l’avversario, dall’altra gli storici si affannano e accapigliano ancora oggi a trovarne una definizione obiettiva, precisa e univoca. Pertanto, le classificazioni di movimenti e regimi differiscono notevolmente, a seconda che si evidenzi maggiormente l’aspetto razziale oppure quello sociale, quello economico o politico-militare. In generale, però, si tende a considerare il fascismo come un fenomeno europeo o comunque legato all’appartenenza alla razza bianca e alla sua influenza culturale. In America e Sud Africa, per esempio, sono considerati “fascisti” i razzisti bianchi – mentre quelli africani o comunque neri, sono quasi per definizione antifascisti. In effetti, è un dato di fatto storico che non esiste un solo popolo europeo a non aver generato una qualche forma di fascismo – movimento o regime – e a non aver contribuito in qualche modo, anche col sangue, alla guerra contro gli Alleati nel 1939-45, tanto da far nascere la definizione di Eurofascismo. Si potrebbe aggiungere che lo stesso fenomeno si evidenzi per i successivi movimenti neofascisti, tanto da delinearlo come un “fenomeno storico europeo”. Per contro, nell’immaginario collettivo, si tende a considerare i popoli extraeuropei come immuni da quello che il potere mondialista vede come il male ideologico per eccellenza. Quello al cui cospetto, ogni altra forma di regime apparirebbe comunque migliore quasi per definizione.  

In realtà, che il fascismo sia espressione e frutto naturale dell’Europa, della sua stirpe e della sua civiltà, è evidente ma da qui a volerlo limitare a questo contesto sarebbe come voler circoscrivere la filosofia al mondo greco o il cattolicesimo a quello latino. Non potendo qui dipanare d’un colpo la matassa ideologica e storiografica con le sue mille diverse interpretazioni, ci limitiamo in questa sede a esaminare una serie di fatti storici accertati, considerando quelle forze che sul piano pratico, cioè politico e/o militare, aderirono al fascismo storico o comunque lo affiancarono nella sua lotta contro il comunismo e il capitalismo. 

I figli dimenticati dell’Asia

L’Asia è comunemente considerata meno contagiata dal fenomeno rispetto all’Europa. Questo è forse vero sul piano propriamente ideologico e politico formale, ma se si guarda all’aspetto concreto, storico e militare, emerge che la quasi totalità dei popoli asiatici ha espresso almeno delle agguerrite minoranze militanti – quando non veri e propri regimi – che hanno combattuto apertamente dalla parte delle forze dell’Asse. Il caso del Giappone è semplicemente il più eclatante ma non certo l’unico, e negli anni della “Grande Asia Orientale” ai Giapponesi si affiancarono intorno a 1.500.000 combattenti di tutte le nazionalità dell’estremo oriente. Erano arruolati direttamente nell’esercito di Tokyo, soprattutto i Coreani e i Taiwanesi (1) oppure inquadrati in eserciti alleati dei Giapponesi come nel caso di Thailandia, Man Chu Kuo (Manciuria) Meng Chang (Mongolia nazionalista) e Cina Nazionale di Nanchino o ancora, volontari di svariate milizie locali nazionaliste in Malesia, Birmania, Filippine, Indocina e soprattutto Indonesia. Una disamina dettagliata di tutti questi regimi e milizie così come dei movimenti che li sostenevano, per stabilire se e in che misura fossero fascisti, parafascisti, reazionari, ecc. porterebbe a un dibattito interminabile, anche considerando che, tra loro, differivano sotto molti aspetti oscillando tra monarchia e repubblica, totalitarismo modernizzatore e tradizionalismo, razzismo e coesistenza multietnica, particolarismo locale e panasiatismo. Lo stesso Giappone non era formalmente uno Stato fascista. Resta, tuttavia, il fatto storico che messi di fronte alla scelta tragica e decisiva della guerra, tutti questi movimenti e regimi si schierarono apertamente dalla parte dei fascismi. E non si vede perché mai una decisione firmata col piombo e col sangue dovrebbe valere meno di dichiarazioni teoriche e formali.  

D’altra parte, la Wehrmacht, percepita comunemente come organizzazione militare razzista per eccellenza, durante la Seconda Guerra Mondiale riuscì a divenire anche il più multinazionale degli eserciti: e se è risaputo che tra i suoi combattenti figuravano soldati di tutti i paesi europei, meno noto è il coinvolgimento dei volontari asiatici. Tra le Osttruppen, i volontari reclutati in Russia e tra i prigionieri sovietici, figuravano anche notevoli formazioni asiatiche. E asiatiche non solo per pura provenienza geografica (come Russi siberiani, Armeni e Georgiani che sono bianchi) ma per caratteri razziali e culturali, come le Legioni Nazionali azera e nordcaucasica, del Turkestan e dell’Idel-Ural, la 162a Divisione Turkestan, la Brigata Boller, il Corpo di Cavalleria Calmucca e persino reparti speciali commando e delle SS come la Brigata da Montagna Tartara e l’Ostturkischer Waffen-Verbande.  In tutti questi reparti erano rappresentate letteralmente decine di nazionalità, spesso di fatto quasi sconosciute agli europei, dell’intera Asia centrale, caucasica, estremo orientale e settentrionale ex sovietica: Turkmeni, Uzbechi, Kazaki, Kirghisi, Tagiki, Karakalpaki, Tartari di Crimea e degli Urali, Ceceni, Ingusci, Calmucchi – solo per ricordare le principali.

Più a sud, in India, i nazionalisti del “Netaji” Bose (2) formarono, oltre a un Governo in esilio dell’India Libera alleato dell’Asse, una Legione Indiana della Wehrmacht e un Esercito Nazionale Indiano (INA) che combatteva sul fronte indo-birmano. Formazioni nelle quali erano presenti volontari dell’intero subcontinente indiano, appartenenti a etnie, culture, lingue e comunità diverse incluse nazionalità oggi indipendenti: dal Pakistan al Bengala, dai Nepalesi ai Cingalesi. Sul piano ideologico Bose teorizzava la “sintesi” tra fascismo e un comunismo non ateo e, coerentemente, i suoi seguaci combattevano quasi esclusivamente contro le democrazie liberali.

Nel mondo arabo e medio-orientale, paesi come l’Iraq, l’Iran e di fatto anche Siria e Libano, si trovarono a combattere prima come soldati regolari e poi come guerriglieri, contro gli eserciti delle democrazie che li invadevano. Con i volontari del Medio Oriente e del Nordafrica si costituirono diversi reparti di nazionalisti arabi o Freies Arabien che affiancarono gli italo-tedeschi sia in Africa che in Europa. Questo vasto movimento nazionalista avrebbe poi generato il panarabismo laico del dopoguerra nel Medio Oriente.   

Per quanto riguarda l’impiego militare di tutte queste formazioni, è essenziale tenere presente che la classica e generica motivazione “anticomunista” non basta da sola a spiegare il fenomeno, quando questi volontari non esitarono a combattere anche contro gli eserciti delle democrazie occidentali sui diversi fronti e contro i partigiani di tutte le tendenze politiche. Si trattò in molti casi di minoranze rispetto alle masse dei loro connazionali schierati nel campo opposto ma è pur sempre un fatto storico inoppugnabile che in tutta l’Asia gli unici a poter teoricamente rivendicare una sorta di “verginità antifascista” potrebbero essere Turchi, Sauditi, Afgani e Tibetani che si sono mantenuti neutrali durante il conflitto (3).

Le americhe, l’Oceania e l’eccezione africana

Al di fuori dell’Europa la prima massa continentale a essere interessata da molteplici forme di fascismo ideologico è sicuramente quella delle Americhe dove movimenti di questa natura hanno visto la luce dal Canada all’Argentina di Peron e al Cile, passando per gli stessi Stati Uniti dove ogni movimento che desideri anche solo la semplice sopravvivenza della stirpe europea e della cultura “bianca” è, in genere, percepito come fascista – e per logica conseguenza, tutti coloro che ne vorrebbero la cancellazione sono per contro, antifascisti – ma occorre precisare che altri fascismi hanno  visto la luce, con alterne fortune, anche in paesi a notevole composizione etnica india, come Bolivia e Paraguay. Se spesso il carattere fascista è rivendicato apertamente – come nei casi dei movimenti che si definiscono falangisti per esempio – diverso è il caso delle innumerevoli dittature militari che seppur esteriormente simili, hanno nei fatti assunto identità politiche ben diverse tra loro e che in alcuni casi, hanno effettivamente avuto al loro interno anche elementi fascisti sia negli uomini che nelle idee (4).   

Neppure l’Africa potrebbe vantare una immunità totale all’influenza fascista. A parte i Freies Arabien, reclutati nel nord arabizzato, le truppe coloniali dell’Italia fascista (Libici, Eritrei, Somali e Etiopi) e il Sud Africa, dove il fenomeno interessa esclusivamente i bianchi – come del resto in Australia e Nuova Zelanda, nella lontana Oceania – possiamo dire che l’Africa Nera è il continente considerato più lontano dall’ideologia fascista. Con un pizzico di esagerazione, qualche capo africanista ha potuto proclamare che l’Africa avrebbe salvato l’Europa dal nazismo, riferendosi alla mobilitazione di massa di soldati, lavoratori e risorse economiche messa in atto dagli Alleati in Africa. Tuttavia, persino nell’Africa Nera troviamo qualche eccezione dimenticata. Nel 1940-42, nelle colonie francesi si è combattuta una strana “guerra nella guerra” tra Francesi di Vichy filofascisti e Francesi Liberi gollisti, delegata per lo più alle truppe africane. In generale le colonie settentrionali e occidentali optarono inizialmente per il regime di Vichy mentre i territori equatoriali si schierarono per la causa alleata ma non mancarono gli scontri tra i due campi. A Dakar, nel 1940, i Senegalesi ributtarono a mare gli invasori gollisti mentre Gabon e Madagascar vennero aggrediti e occupati dai democratici con vere e proprie campagne militari perché si erano schierati dalla parte di Vichy. Si potrà obiettare che questi africani amici dell’Asse erano in fondo solo delle truppe coloniali, ma si potrebbe far notare per contro che lo erano anche le masse di africani arruolate per combattere contro il fascismo! Ma le eccezioni non finiscono qui: dopo la guerra, il Portogallo salazarista dovette combattere fino al 1975 – quando il regime cedette, pugnalato alle spalle dal tradimento interno – contro i guerriglieri marxisti africani e arruolò con successo molti Angolani, Mozambicani e Guineiani, coinvolgendo nella guerra antisovversiva persino le comunità più remote come i Boscimani ma anche volontari da altri territori come i dissidenti Katanghesi che si opponevano al regime dello Zaire (del resto il loro capo storico, Ciombè, costretto all’esilio non esitò a rifugiarsi nella Spagna franchista). 

Una nuova proposta interpretativa

Concedendo che in questa sintetica panoramica mondiale gli studiosi potranno legittimamente trovare mille motivazioni e differenziazioni, anche sostanziali, legate alle naturali distanze genetiche e culturali intercorrenti tra i popoli, resta il fatto che il terremoto fascista, pur avendo il suo epicentro in Italia e il suo maggiore raggio d’azione nell’ambito della stirpe europea e della civiltà cristiana, ha fatto avvertire le sue scosse su tutto il globo anche tra popoli diversi e lontani tra loro. In questo, il fascismo ha replicato ciò che era già accaduto con la civiltà dell’Impero Romano, con la successiva diffusione del Cattolicesimo nel mondo, con l’arte del Rinascimento: tutti fenomeni che si irradiano dall’Italia e dall’Europa al mondo intero e acquistano un valore universale e si potrebbe dire immortale, come ammettono gli stessi nemici della Civiltà che ancora oggi si definiscono “Antifa” e parlano della minaccia di un “Ur-Fascismo”, del “Fascismo Eterno”. Eterno? Non si potrebbe immaginare un complimento più bello da parte del nemico! Forse, il vero limite di tutte le analisi storiografiche e teoriche sul fenomeno, sta nel fatto di aver voluto sviscerare aspetti politici, sociali, culturali, economici, psicologici, sottovalutando quello spirituale e diremmo “antropologico” perché prima ancora che a un sistema di idee o a una fase storica, il fenomeno è legato a un Ordine interno e profondo, a un tipo umano differente. E dorme nel suo cuore attendendo solo di essere risvegliato. 

Note

  1. Il coinvolgimento di questi militari giunse fino al livello di alti ufficiali e di unità scelte, inclusi i kamikaze.
  2. Uno dei tre padri dell’indipendenza indiana insieme a Gandhi e Nehru. 
  3. Popoli che peraltro non sembrano avere neppure una grande propensione per la democrazia.
  4. Anche se da parte marxista e liberale, il termine “fascista” è stato semplicemente usato e abusato per definire un po’ tutte le dittature sudamericane, persino quelle irrimediabilmente antifasciste come quella di Batista a Cuba. 
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