Anche quest’anno, puntuale come i treni durante il Ventennio (ci si conceda una battuta) arriva la festa dell’odio antifascista. 
Non più una festa nazionale né una ricorrenza unitaria se mai lo è stata. Una festa europea, anzi mondiale, celebrante la religione dell’antifascismo quale motore della democrazia, della libertà, della morale. Non è concesso non essere antifascisti, bisogna amare quest’idea, amarne i valori e non contraddirne i custodi. 
Ma cos’è l’antifascismo?
Possiamo delinearne una fase embrionale con la stesura del Manifesto di Benedetto Croce, in risposta a quello dell’ex amico e collega Giovanni Gentile.
Fu forse l’unico momento in cui l’antifascismo ebbe un carattere ideologico e intellettuale, aspetti che avrebbe perso poco dopo per trasformarsi in semplice contestazione al governo in essere, nasceva l’antifascismo politico. 
Con la resistenza, l’antifascismo diventò il collante di idee tra loro nemiche e mai del tutto antitetiche al fascismo stesso: nasceva quindi il terzo aspetto di questa non-idea, quello “militare”, la contrapposizione armata tra divise diverse. Non si combatteva, almeno non apertamente, il corporativismo, la democrazia organizza, la socializzazione, ma solo l’esercito nemico, che però parlava la stessa lingua, aveva la stessa pelle, lo stesso credo e (al netto di simboli nel campio bianco) anche la stessa bandiera. 
Tralasciamo un attimo il nostro tifo, ammettendo che esempi di virtù e barbarie vi furono da tutte le parti, negarlo è prerogativa propria degli antifascisti. Ciò che però non si può non notare è che l’antifascismo oggi, su cui dovrebbe basarsi la nostra Repubblica, è ormai quanto di più distante da ciò che era la resistenza. Ci si è inventati una lotta partigiana che non è mai esistita, assegnandole caratteri che rasentano, oltre allo sconvolgimento della storia, anche il ridicolo. 
L’antifascismo non ebbe mai una definizione univoca se non quella di essere “contro Mussolini e i suoi seguaci”. Diventò un contenitore di pensieri vietati o osteggiati dal regime, dal liberalismo, alla democrazia, al socialismo, in tutte le loro varianti.
Oggi queste ideologie che animarono la resistenza sono invece giudicate, a loro volta, troppo “fasciste” dagli antifascisti moderni, per questo si necessita anche la loro messa al bando. I fazzoletti azzurri, bianchi e persino rossi non professavano i deliri progressisti odierni, pertanto non devono essere ricordati per ciò che furono ma per il costume che è stato cucito loro addosso dai loro nipoti. 
Difficilmente possiamo credere che i partigiani lottarono per la droga libera, per aborto ed eutanasia, per le frontiere aperte, per i diritti LGBT, per l’utero in affitto o addirittura (sì esistono anche questi) per l’antispecismo; accettando pure la storiografia ufficiale, sappiamo che essi, o almeno una buona fetta, voleva la giustizia sociale, cosa che l’antifascismo odierno abiura in nome degli interessi di quell’altra aberrazione chiamata Unione Europea; così come viene incoraggiato il classismo, l’abolizione del suffragio universale, l’uccisione “umana” dei disabili e molto altro, tutte cose a cui probabilmente un partigiano in buona fede avrebbe puntato il fucile. 
I concetti di patria e famiglia vengono associati necessariamente alla dittatura, nonostante quasi tutti i partigiani li avessero come valori. E la repubblica nata da quella resistenza viene ogni giorno contestata da chi della resistenza ha fatto un feticcio, poiché considerata arretrata, nemica dei diritti, chiusa. Gli antifascisti di oggi, cittadini del mondo e schifati da ogni bandiera, fuggono dall’Italia nata dalla resistenza, pontificando dal loro monolocale in nord Europa quando il vecchio stivale sia penoso ma con la più bella costituzione della Terra. C’è chi nega l’esistenza degli italiani, popolo vuoto che deve riconoscersi solo nel 25 aprile, c’è chi vuole che il Paese sia annesso a Francia o Germania, c’è chi vuole che l’inglese diventi la lingua ufficiale.
L’arroganza antifascista percorre parallelamente il complesso di inferiorità nazionale autoindotto, mentre la non-idea antifascista si intreccia con il progressismo fine a sé stesso. 
Un antifascismo che non conosce nemmeno la sua storia, ignorando che il 25 aprile fu una festività istituita dal Re di maggio che partecipò anch’egli alla lotta partigiana, ignorando che la costituzione non fa mai menzione dell’antifascismo (mentre cita la parola “razza”).
L’antifascismo diventa quindi la scusa per giustificare azioni repressive e aggressive contro tutto ciò che non è progressista, assegnando patentini di criminale a ogni pensiero eterodosso, andando contro gli stessi principi che normalmente vengono associati alla resistenza. L’antifascismo è violenza e paranoia, non vi è altro modo di definirlo. 

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