Il 2025 è l’anno in cui ricorre il centenario della promulgazione di una delle encicliche papali più importanti del secolo scorso: la Quas primas di Pio XI.
L’11 dicembre 1925, il Papa, promulgò il testo ed istituì la conseguente Solennità di Cristo Re da celebrare nell’ultima domenica del mese di ottobre.
Quella di Pio XI fu la necessaria codifica della dottrina della Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, sempre insegnata dalla Chiesa, applicata con virtuosi risultati nei secoli della Cristianità medievale e poi implicitamente affermata in tutti quei pronunciamenti magisteriali di condanna del liberalismo, del laicismo e del socialismo.
Si rese tuttavia necessario riaffermare in modo solenne tale sempiterna verità dinnanzi ad un mondo dominato in gran parte da entità totalmente secolarizzate quando non esplicitamente atee. Ad una società ormai intrinsecamente teofobica, per dirla con de Maistre, figlia dell’89 francese, si era aggiunto il subdolo pericolo dei nemici interni, ovvero di tanti cattolici, laici o consacrati, ormai ipotecati alla mentalità laicista imperante, quelli che lo stesso Pio XI definirà modernisti sociali.
In un contesto tanto grave, Pio XI, promulgando l’enciclica in oggetto, scolpì queste inequivocabili parole nella roccia inscalfibile del magistero perenne di Santa Romana Chiesa:
“Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e pubblica: «Né in alcun altro è salute, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale abbiamo da essere salvati», è lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia per i singoli sia per gli Stati: «poiché il benessere della società non ha origine diversa da quello dell’uomo, la società non essendo altro che una concorde moltitudine di uomini» . Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Difatti sono quanto mai adatte e opportune al momento attuale quelle parole che all’inizio del Nostro pontificato Noi scrivemmo circa il venir meno del principio di autorità e del rispetto alla pubblica potestà: «Allontanato, infatti — così lamentavamo — Gesù Cristo dalle leggi e dalla società, l’autorità appare senz’altro come derivata non da Dio ma dagli uomini, in maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la causa prima, non v’è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Dal che è derivato un generale turbamento della società, la quale non poggia più sui suoi cardini naturali»
La dottrina della Chiesa fornisce almeno tre motivi (da non confondere con le proclamazioni scritturali di tale regalità, importantissime ma che non tratteremo in questo articolo) per cui Cristo è da considerarsi Re dei Re e delle nazioni. Motivi che cercheremo di proporre all’attenzione del lettore mediante un piccolo itinerario nel mondo dell’arte figurativa. Ovviamente in tempi in cui Nostro Signore regnava concretamente sulla società mediante la sua Chiesa, le arti non potevano che celebrare anch’esse il Re dei Re unendosi a quel polifonico coro di lode a Dio che era la Cristianità.
Innanzitutto Cristo è Re per diritto di natura, poiché Egli è il Figlio di Dio ed è Egli stesso Dio. Infatti che Dio (qui inteso come Prima Persona della Santissima Trinità) abbia potestà sulle nazioni è comprensibile anche solo per il retto uso della ragione naturale. Scrive in modo semplice ma efficace il Padre Garrigou-Lagrange nel suo “Dio accessibile a tutti”: “Ascoltiamo anche il buon senso del fanciullo. Ogni volta che gli chiederemo obbedienza alla legge e ai genitori, o gli domanderemo il suo sacrificio per la Patria, egli alzerà verso di noi i suoi occhi chiari e domanderà: Perché? In nome di chi? Se non potremo rispondergli: Dio! Egli non capirà, e un giorno, scoperta la fragilità dei nostri poveri concetti umani, non obbedirà più. Diamogli dunque Dio, alla buona, semplicemente…onestamente.” La Regalità di Dio è infatti stata riconosciuta sempre e da tutti i popoli delle terra, tanto che il pagano Plutarco scrisse che sarebbe “più agevole l’edificar una città nell’aria che costituire una società senza la credenza degli Dei”. Ma se Dio Padre, quello vero, è Re, inevitabilmente lo è anche Cristo, in quanto Figlio Suo e poi in quanto Uomo unito ipostaticamente alla natura divina. Verità, questa, ben espressa in quest’opera di Pieter de Grebber (1600-1652), artista olandese cattolico, iniziatore del “classicismo di Haarlem” ed allievo di grandi come Rubens e Rembrandt.
“Dio Padre invita Cristo a sedersi sul trono alla sua destra” è un’olio su tela del 1645, conservato ad Uthrect, ispirato a quell’articolo del Credo per cui il Divin Figlio è salito al Cielo e siede alla destra del Padre. E da quel trono, cui lo invita Dio nell’opera di de Grebber, Egli regna non solo sulle anime e sui cuori, ma sui popoli e sulle Nazioni. Il Signore è ancora abbigliato così come fu crocifisso ma la sua regalità è simboleggiata dal rosso del mantello che Gli cade dalle spalle. Il rosso infatti, se ovviamente richiama il sangue del martirio, è anche da sempre il colore del potere indossato dai centurioni romani, dagli Imperatori, dai re, dal Papa e dai cardinali.
Dunque Cristo ha diritto a regnare su di noi poiché, in quanto Figlio di Dio ed Egli stesso Dio siede alla destra del Padre. In secondo luogo Nostro Signore è Re per “diritto di conquista”. Scrive Pio XI sempre nella Quas Primas: “ Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati… ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato». Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo.” Taluni “cattolici” ammodernati e ideologicamente mondani affermano che Cristo è “re dalla Croce” per spiritualizzarne la regalità, sino a renderla una mera parola vuota con nessuna reale incidenza sulla società. Essi affermano il vero quando dicono che Egli regna dalla Croce, ma non nel senso che essi intendono, ovvero esclusivamente come Re di misericordia e di amore, ma poiché dal Sacrificio sul Calvario ha ottenuto (o riconfermato) i suoi concretissimi diritti regali. Questo è ben chiaro nel Polittico dell’Agnello mistico, un’opera monumentale dei fratelli fiamminghi van Eyck (Jan e Hubert- su quest’ultimo invitiamo gli appassionati dei “misteri dell’arte” a fare ricerche).
L’opera è grandiosa, dipinta tra il 1426 e il 1432 per la cattedrale di San Bavone a Gand, dov’è tutt’oggi conservata; è un polittico apribile, composto da ben 12 pannelli di legno di quercia, alto quasi 4 metri e largo 2 e mezzo. La tecnica usata è quella della pittura ad olio. Sarebbero moltissime le osservazioni da fare su di un capolavoro mastodontico come questo, ma ai fini del nostro articolo contempleremo solo due elementi. Nel pannello centrale del registro superiore è infatti rappresentato Cristo come Re e Sommo Sacerdote, assiso sul Suo trono, coronato dalla tiara, benedicente come il Pantocratore dell’arte bizantina e con in mano uno scettro. Ma proprio corrispettivamente, nel pannello centrale del registro inferiore, c’è l’Agnello mistico, tradizionalmente simbolo del Sacrificio di Nostro Signore, prefigurazione della morte sul Calvario nell’Antico Testamento. L’Agnello, nell’opera, è adorato da una schiera di angeli, mentre la colomba dello Spirito Santo irradia i raggi solari della Grazia divina, sotto l’altare si vede la Fontana della vita ed attorno ad essa ed all’altare si trovano quattro fitti gruppi di adoratori: a sinistra in basso i pagani e gli scrittori ebrei, a destra i papi e i santi uomini; in alto spuntano invece i gruppi dei martiri uomini a sinistra (con in prima fila gli appartenenti al clero) e le martiri a destra. Dunque l’Agnello, sacrificato eppure ritto in piedi, in qualche modo “regge” il trono divino posto nel registro superiore, come la Morte in Croce fonda in modo definitivo la Signoria di Cristo su di noi. In terzo luogo il Redentore regna sul mondo poiché il Creato è stato fatto per Lui e poiché Egli era prima che ogni altra cosa fosse, è alfa e omega come il Signore stesso afferma ben tre volte nell’Apocalisse; dunque è causa efficiente e finale di tutta la nostra vita- e la realtà sociale è parte integrante della nostra esistenza terrena, poiché noi siamo per natura membri di una comunità e dunque escludere il Figlio di Dio dalla società che contribuiamo ad edificare equivarrebbe ad escluderlo da una porzione significativa della nostra vita- del mondo e dell’universo. Come non pensare dunque al Cristo re dell’universo dello spagnolo (torniamo sul mediterraneo) Fernando Gallego (1440-1507)?
Nell’opera, realizzata nel 1492 e conservata al Museo del Prado di Madrid, Nostro Signore benedicente è assiso sul trono e in una mano tiene un globo del tutto particolare rispetto ai globi abitualmente rappresentati nelle iconografie regali (di Cristo o di sovrani terreni). Infatti è insolitamente trasparente e al suo interno contiene un’altra sfera più piccola e scura. Le due sfere (quella trasparente e la seconda al suo interno) sono rispettivamente l’universo e la Terra che ne è il centro vitale e spirituale. Egli dunque tiene l’universo intero sul palmo della mano ma con la Terra ben in evidenza per sottolineare la concretezza del suo dolce giogo sull’umanità peccatrice.
Vien da piangere pensando alla potenza catechetica e alla bellezza estetica di queste opere, se paragonate alla vuotezza contenutistica e alla bruttura estetica di certi presunti prodotti artistici della contemporaneità. Non può che tornare alla mente la flebile speranza di Pio XII che il giorno seguente all’udienza concessa a Salvador Dalì si disse, sull’Osservatore Romano, desideroso di “incorporare la pittura moderna nella grande tradizione dell’arte dell’età media e del Rinascimento”. L’arte, come la società, prese ben altre strade. Cento anni dopo la promulgazione della Quas primas, le parole di Pio XI suonano più attuali e necessarie che mai e devono costituire un chiaro programma di vita e di lotta al servizio di Cristo Re. Per lottare bisogna amare giacché “non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo.”Ma per amare bisogna conoscere e l’arte è da sempre mezzo privilegiato di diffusione del sapere. Come disse san Giovanni Damasceno: “Se un pagano viene e ti dice: Mostrami la tua fede!, tu portalo in chiesa e mostragli la decorazione di cui è ornata, e spiegagli la serie dei quadri sacri.”
Nell’opera, realizzata nel 1492 e conservata al Museo del Prado di Madrid, Nostro Signore benedicente è assiso sul trono e in una mano tiene un globo del tutto particolare rispetto ai globi abitualmente rappresentati nelle iconografie regali (di Cristo o di sovrani terreni). Infatti è insolitamente trasparente e al suo interno contiene un’altra sfera più piccola e scura. Le due sfere (quella trasparente e la seconda al suo interno) sono rispettivamente l’universo e la Terra che ne è il centro vitale e spirituale. Egli dunque tiene l’universo intero sul palmo della mano ma con la Terra ben in evidenza per sottolineare la concretezza del suo dolce giogo sull’umanità peccatrice.
Vien da piangere pensando alla potenza catechetica e alla bellezza estetica di queste opere, se paragonate alla vuotezza contenutistica e alla bruttura estetica di certi presunti prodotti artistici della contemporaneità. Non può che tornare alla mente la flebile speranza di Pio XII che il giorno seguente all’udienza concessa a Salvador Dalì si disse, sull’Osservatore Romano, desideroso di “incorporare la pittura moderna nella grande tradizione dell’arte dell’età media e del Rinascimento”. L’arte, come la società, prese ben altre strade.
Ma oggi Cristo, rappresentato in modo blasfemo nelle arti, ignorato dai popoli, espulso dalle leggi e dagli ordinamenti, dimenticato nelle scuole, ha smesso di essere Re? No. Egli regna con i suoi benefici quando il suo giogo è accettato dalle Nazioni, mentre governa con i Suoi castighi (il primo dei quali è la Sua stessa assenza) le Società che lo rinnegano.