“La grande ora: Amore dove è odio, luce dove è tenebra, legge dove è disordine”.

Un foglio, un titolo di un articolo di prossimo completamento.

L’ora del pranzo che si avvicina, il rientro a casa dall’amata moglie percorrendo il solito tragitto dove ad attenderlo quattro/cinque colpi di pistola, sparati da un celebre gappista, che lo colpiscono alla zona sotto orbitale sinistra.

È il 31 marzo 1944 Ather Capelli lascia la vita terrena per diventare un martire, un esempio. A lui sarà dedicata, dopo pochi mesi, la prima Brigata Nera della sua Torino.

“Sono venuti a salutarlo i torinesi, molta gente del popolo, gente che, forse, non lo aveva, mai conosciuto e che lo piange ora come si piange chi muore per la Patria”.¹

Ma chi era Ather Capelli? Certamente “il soldato, il fascista, il giornalista di cristallina fede” come lo definisce Mussolini in un messaggio inviato al Federale di Torino Giuseppe Solaro.

Era un uomo retto, che dedicava molta attenzione alle iniziative benefiche a favore dei poveri come ricorda lo stesso Federale Solaro:

“Eri onesto fino allo scrupolo, infaticabile come un apostolo, fedele fino alla morte”

Ma perché fu ucciso Capelli?

“Con Te si è voluto uccidere la rettitudine, l’amore per la giustizia, la dedizione alla riscossa fascista”.³

È stato definito dal suo assassino come un “sanguinario incitatore delle rappresaglie”⁴. Nulla di cui si sia mai trovata traccia nei suoi svariati articoli da Direttore de La Gazzetta del Popolo.

Capelli parlava di fraternità, del bisogno di essere “uniti nell’amore, nella fede”⁵, invitando a liberarsi “dal grave fardello dei nostri rancori, delle nostre viltà, delle nostre miserie”⁶. Ridurre tutta la sua vita al lavoro giornalistico sarebbe riduttivo.

È stato anche un giovanissimo poeta che aveva molto sofferto la morte della madre, un partecipante alla Marcia su Roma e alla Campagna d’Africa dove viene gravemente ferito che comporterà una zoppia che lo perseguiterà per tutta la vita, ostacolandone la sua volontà di partecipare come volontario al secondo conflitto mondiale:

“Le grandi linee della vita sono quelle che valgono e se i miei anni non sono molti, li ho intensamente vissuti. Guerra d’Africa. Entusiasmo incandescente. Partenza. Lotta. Ferita. Ospedaletto. Ritorno. Lunga convalescenza. Guarigione. Ma impossibilità a ritornare in guerra. Penso a coloro che scrivono i loro fulgidi nomi nei cieli, sui mari, nel deserto e soffro di questo mio stato tremendamente”.

La sua ‘guerra’ diventa il periodico Vent’anni battagliero giornale che raccoglieva una covata di giovani intellettuali, fascisti eretici.

 

Successivamente l’incarico di Segretario del Fascio di Pinerolo e, dopo l’8 settembre 1943, la direzione de La Gazzetta del Popolo, come confesserà lui stesso un compito “tremendo (…) pericoloso ma bello (…)” occorre “lavorare, lavorare, lavorare, collaborare, ognuno al suo posto, con instancabilità e con fede”. Il suo ricordo non cesserà nemmeno nel dopoguerra, tanto limpida era la sua figura.

Il giornale missino L’Ordine Sociale gli dedicherà un lungo articolo.

Voglio chiudere riportando queste brevi parole pronunciate da un piccolo bambino di otto anni davanti alla sua bara:

“Ti ritorno il soldatino che mi avevi regalato dicendomi di diventare un buon soldato. Ti volevo bene perché mi avevi fatto del ben, tanto”.

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Note

1

Le estreme onoranze ad Ather Capelli caduto per l’idea, La Gazzetta del Popolo, 2 aprile 1944

2

G. Solaro, Ather Capelli, La Riscossa, 5 aprile 1945

3

G. Solaro, Ather Capelli, La Riscossa, 5 aprile 1945

4

Il suo assassino, successivamente, nel suo libro di memorie sbaglierà sempre a scrivere il suo cognome

5

A. Capelli, Per l’Italia, Gazzetta del Popolo, 7 novembre 1943

6

A. Capelli, Cabrare, Gazzetta del Popolo, 6 gennaio 1944