Il Genocidio armeno rimane uno degli eventi storici più controversi della Storia contemporanea. Il paragone con la Shoah è spesso scivoloso, dal momento che a sospendere l’attività criminale non vi fu la conquista territoriale dell’omicida e non vi fu un processo internazionale a sentenziare sopra di essa. Forse il vero testimone degli accadimenti del 1915-1918 da parte di Istanbul potrebbe essere proprio la Storia, non gli eserciti, nemmeno i tribunali. Grazie alla memoria della comunità armena di tutto il mondo, che ancora oggi trasmette di generazione in generazione le testimonianze del proprio genocidio di massa, il “mestiere storico” è sicuramente in grado di tracciare i contorni foschi di questa strage. Quanto oggi sostenuto dalla Turchia conferma un concetto fondamentale nell’epoca contemporanea: la Storia è stata e potrebbe essere funzionale alla politica, nonostante la prima debba redigere un’indagine scientifica e creare una conseguente consapevolezza a livello culturale e la seconda dovrebbe tributarne il dovuto rispetto.
Come scrivono Tommaso Detti e Giovanni Gozzini nel loro monumentale volume Storia contemporanea. Il Novecento, il termine “genocidio” ha paternità ebraica derivata dallo sterminio ad opera dei nazisti, tuttavia tale terminologia è assolutamente riciclabile – se vogliamo – a ritroso. Il governo turco individuò due colpe da attribuire al popolo armeno: il disfattismo e la cristianità del proprio credo. Nonostante la laicizzazione dello Stato portata da Kemal Ataturk e dai Giovani Turchi a partire dal 1909, politica, società ed esercito turchi permasero a fortissimo carattere religioso.
Dal 1915, dalla Cilicia e dall’Anatolia occidentale, il popolo armeno presente venne sottoposto a massacri e a deportazioni, per un totale di quasi un milione e mezzo di vittime ad oggi accertate secondo gli studi del Tsitsernakaberd Memorial Complex. Uno dei motivi per cui la Turchia, membro ONU e NATO, non è ancora all’interno dell’Unione Europea potrebbe permanere di origine storica e si collegherebbe per l’appunto ai crimini compiuti ai danni della popolazione armena. Anche il paniere valoriale su cui si fonda la compagine europea di Bruxelles dirimpetto alla realtà turca attuale, si appaia disastrosamente a quanto visto durante l’ultima riunione tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il Presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, e a quanto sostenuto dalla Turchia nell’uscita volontaria dalla Convenzione di Istanbul, Trattato internazionale in tema di lotta alla violenza contro le donne.
Norman Davies, nel suo capolavoro Storia d’Europa alla sezione Tenebrae. L’Europa in eclissi, ha steso un approfondimento tematico sul tema “Genocidio”, riferendosi a quello armeno. Indipendentemente dal conteggio dei deportati e degli assassinati, Davies sostanzia il vero motivo del risentimento turco: la Russia zarista era nemica del Sultano ottomano e poteva dare un appoggio sostanziale all’indipendenza della Nazione cristiana armena. Non è un caso che, con il Trattato di Sevres del 1920, le potenze alleate riconobbero all’Armenia unita lo status di Repubblica sovrana, riconoscimento simile a quello attribuito dall’ONU al popolo ebraico con la creazione di Israele nel 1948. La ricerca di Davies è disarmante quando collega i due genocidi attraverso le fonti: «Gengis Khan fece uccidere milioni di uomini e donne a cuor leggero. Ma per la storia fu solo un grande costruttore di stati […]. Ho mandato le mie squadre della morte in Oriente con l’ordine di uccidere senza pietà gli uomini, le donne e i bambini di razza o di lingua polacca. Solo così avremo il Lebensraum di cui abbiamo bisogno. Chi, dopo tutto, si ricorda oggi dell’annientamento degli armeni?». Queste sono le parole di Adolf Hitler, secondo gli appunti dell’ammiraglio Canaris.
Esiste, quindi, una visione storica nell’interpretazione degli avvenimenti contemporanei la quale viene spesso tralasciata. Non si vuole in tal senso giungere a tutti i costi al concetto di verità storica formulato da Jerzy Topolski nel suo volume Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, tuttavia è onesto pensare come, nell’immaginario conferitoci dalla cultura pubblica mediamente condivisa, un fatto storico quale il genocidio armeno debba diventare patrimonio universale all’interno della manualistica scolastica mondiale. Il negazionismo, tuttavia, complica la trasmissione alle nuove generazioni turche della conoscenza – e della coscienza – di quanto accaduto agli armeni ottomani tra 1915 e 1916. Marc Bloch, nel suo fondamentale volume Apologia della storia o Il mestiere dello storico, citando Montaigne, afferma che «non appena il giudizio pencola da una parte, non ci si può trattenere dal tratteggiare e distorcere la narrazione in quel senso». Questo in realtà, oltre un secolo dopo, è il pericolo più grande.
L’indagine antropologica rispetto ad un fatto storico, anche se non universalmente giudicato o senza tratti di unanime analisi, diviene un criterio della tanta agognata libertà del pensiero moderno. Rinnegare il genocidio armeno – o peggio crearne una pagina revisionista autoritaria – potrebbe aprire ad una pericolante pagina di nichilismo storico, la quale, in molteplici contesti educativi e culturali, sta aumentando la propria tiratura in una tragica realtà in cui la Storia rischia di diventare unicamente l’elemento complessivo di fatti del passato con un apparente e nostalgico legame con il presente. Sappiamo che non è così: la Storia ha prima di tutto un dovere etico, terminale di un pensiero critico estremamente deontologico.
Cito spesso nei miei scritti il filosofo Umberto Galimberti, perché lo ritengo uno dei saggi del nostro tempo, un pensatore amabile da ascoltare, unico nell’infondere nel pensiero la sete di sapere e la voglia di conoscenza. In una lezione dell’aprile 2021 denominata I Doni più grandi ci arrivano dalla Follia specifica che è stata la cultura ebraica ad aver difeso il ricordo del proprio sacrificio e, in generale, la cultura mondiale sull’Olocausto. Se è accertato che la cultura armena abbia spinto alla difesa ad oltranza della propria memoria, non è accertata l’assoluta, ferrea e unanime volontà di difendere il ricordo del primo genocidio del Novecento. Ad oggi, con le ultime dichiarazioni del presidente americano Joe Biden, sono una trentina gli Stati al mondo ad aver riconosciuto ufficialmente il Genocidio armeno. Da Antonia Arslan, celebre scrittrice e accademica italiana di origini armene nota a noi giovani universitari padovani, al famoso gruppo statunitense alternative metal System of a Down, composto da artisti di origine armena – basti leggere la parte finale dei loro cognomi – , sono tantissimi, invece, i segni e le tracce di una Storia, quella del genocidio armeno, che cerca solo di avere un solidale riconoscimento, e non di essere un motivo di contesa internazionale.
Dal film Ararat, Il monte dell’Arca: “Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?”
Non lo sappiamo nemmeno oggi. Nel 2021.