In tema di Afghanistan, nulla di meglio che rendere onore ai nostri soldati i quali han saputo esprimere al meglio le patrie caratteristiche: umanità, professionalità e valore, riuscendo a fare in modo che sul territorio di loro competenza (equivalente a un quarto del territorio afghano) l’Italia riuscisse a incarnare quella potenza che potrebbe essere, malgrado una politica che spesso non sa stare al passo con il «primato morale e civile» degli italiani.

Tutti i reparti che si sono avvicendati hanno fatto un figurone, onorando, spesso nell’indifferenza di politici distratti, la loro bandiera di guerra e spernacchiando con i fatti i pacifisti «de noantri» che dal ‘45 ritengono le Forze Armate uno strumento inutile, e che – almeno a partire dal fatidico ’68 – lo bollano addirittura come uno strumento pericoloso per la democrazia.

Conosco personalmente molti dei soldati (evito, qui, la differenziazione di grado) che hanno operato in seno alle Forze Speciali d’Assalto, specie tra gli incursori che hanno formato la TF45, ossia, gli Incursori dell’Esercito (Col Moschin), della Marina (Com.Sub.In.), dell’Aeronautica (17° Stormo) e dei Carabinieri (G.I.S.); altrettanti ne conosco tra quelli che appartenevano alle Forze Speciali d’Assalto, incaricate di fornire il supporto tattico alla TF45: il 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti «Tuscania», il Reggimento Alpini Paracadutisti (che qualche anglofilo ha pensato bene di chiamare «Rangers»), il San Marco, i Reggimenti Paracadutisti della Folgore.

Avendo io i capelli bianchi, conosco ormai solo gli anziani, in primis gli uomini del Col Moschin (quelli che per 13 anni, dal 1980 al 1993, sono stati i miei commilitoni) e poi quelli del Com.Sub.In. e del GIS (per aver operato in addestramento congiunto), nonché del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti per averne apprezzato la professionalità e il valore in quel di Baghdad dal 2005 al 2008 (ricordo ancora che sentii l’impeto di esprimere via telefono al loro Comandante il mio sincero ed entusiasta apprezzamento, condiviso dall’Ambasciatore d’Italia, per la professionalità e il valore dei suoi «Caramba»… Sì, con l’amico Gino M. mi sono permesso questa libertà).

Ma prima dell’Afghanistan, quei soldati si erano fatti le ossa in Libano, nel Kurdistan Iracheno e poi in Somalia, sempre esprimendo quel valore e quella professionalità che li hanno resi efficaci, micidiali ma non spietati. Il plusvalore del soldato italiano, sia esso un incursore, un operatore delle Forze Speciali, un carabiniere, un fante, un marò, un alpino, un bersagliere, ecc.

Ed eccoci agli ultimi giorni di Kabul. In questa situazione di confusione e tregenda, saltano agli occhi (anche di chi ce li ha foderati con le fette di prosciutto dell’ideologia pacifista) due realtà:

  • La prima: a fronteggiare i Talebani rimane ora un pugno di valorosi soldati afghani che, addestrati dalle nostre Forze Speciali, resistono in una estrema ridotta. Se tanto mi dà tanto, ho la certezza che quei soldati afghani che hanno deciso di resistere «per l’onore», sapranno combattere da soldati – bene e con coraggio – e sapranno essere efficaci e micidiali come gli hanno insegnato i loro addestratori; ma, si sappia, quei valorosi che fino a ieri hanno creduto in noi, stanno andando incontro all’estremo sacrificio (un sacrificio silenzioso che non genererà nessun film tipo «Rambo»).  L’unica consolazione dei loro fratelli d’arme italiani è che i Talebani, con loro la troveranno lunga, molto lunga.
  • La seconda: sullo scenario dell’aeroporto di Kabul, in preda alla confusione, è stata data un’ampia eco all’attività degli uomini del MAE (Ministero degli Affari Esteri) che in quell’area si sono prodigati, nella migliore italica tradizione di spirito di servizio e umanità a tutto tondo, a salvare vite umane. A loro va il plauso di tutti noi, perché non essendo soldati, si sono comportati con la determinazione e il valore che si pretende dai soldati: bravi e onore a loro.

Ma onore anche e soprattutto agli uomini del “Tuscania”, ex commilitoni con i quali, ai miei tempi, in seno ai reparti paracadutisti, si era instaurata una gara a chi faceva meglio. In questi ultimi giorni, quante volte abbiamo visto la loro insegna sul caschetto da combattimento mentre si muovevano, con decisione, in seno a un indicibile pandemonio di uomini e mezzi? Quante volte li abbiamo visti portare il salvifico braccio armato d’Italia ben oltre l’aeroporto di Kabul tra strade e stradine, sfidando la peggiore e più pericolosa delle confusioni pur di portare in salvo qualcuno?

Di loro si è parlato poco nei telegiornali, ma sappiano quei prodi che alla migliore Italia – a quella che, come loro, non fa dell’autopromozione una priorità – non sono passati inosservati, anzi, ne è stata apprezzata anche la riservatezza con la quale hanno agito.

Questa è l’Italia, bellezza. Altro che “pizza e mandolino”! Efficacia, determinazione, professionalità e valore, questo è quello che i nostri uomini in armi hanno espresso ed esprimono in ogni teatro operativo. “Si fa quel che s’ha da fare”, perché il soldato italiano, più del prussiano, questo ha sempre fatto.

Alla classe politica nostrana, spesso composta da imbelli, dico: prendete esempio.