Ovvero il sovranismo dei barboncini di Pavlov.
“Fratelli d’Italia sostiene l’appartenenza dell’Italia al blocco occidentale e alla NATO senza ambiguità, soprattutto di fronte a crisi di ampia portata come questa. Sosterremo ogni iniziativa per difendere l’integrità territoriale degli Stati europei”.
Le parole della potenziale leader di un futuro governo di centrodestra non divergono da quello dell’attuale inquilino della Farnesina, Di Maio o di tanti esponenti della Sinistra, e non ci sembra un bel complimento da rivolgere a chi aspira, come il partito della Meloni, ad essere considerato baricentro sovranista.
Che l’Italia appartenga alla NATO e al blocco occidentale è un’ovvietà; sostenere però che ciò debba avvenire “senza ambiguità” porta con sé un’immediata replica, ossia che l’ambiguità sta proprio in questo: la fedeltà a un trattato che, nelle sue applicazioni pratiche, continuamente tradisce le sue fondamentali premesse.
Quella dell’articolo 1, che impegna le parti – leggasi, i suoi aderenti – “a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza” e quella che sancisce il “diritto di legittima difesa” e di reciproca assistenza “ivi compreso l’uso della forza armata”, contemplato nell’articolo 5, nel caso di “…un attacco armato contro una o più di esse – leggasi, parti – in Europa o nell’America settentrionale“; e l’Ucraina non è fra quelle.
Come ogni statista dovrebbe sapere – e quindi anche la Meloni ove tale vada ritenuta – se “pacta sunt servanda”, l’obbligo non può impegnare più di quanto esso disponga.
Facile l’obiezione che la NATO, sopravvissuta alla fine dell’URSS, oggi in un diverso scenario globale strategico abbia necessariamente mutato prospettive e finalità, allargando la sua portata e la sua sfera d’interessi.
Ma, e qui sta la contro-obiezione, la prospettiva è cambiata anche dalla parte opposta, la Russia, che non ha nessuna velleità di annettersi l’Occidente ma persegue il suo diritto-dovere di garantirsi spazi di sicurezza, come legittimamente dovrebbe/potrebbe fare ogni nazione sovrana. La fine della guerra fredda, del “bipolarismo perfetto” e del quadro che ne derivava ha reso poi la politica mondiale un caleidoscopio in continuo movimento e rende necessaria una lettura degli avvenimenti in maniera pragmatica e non ideologica.
Ciò che ha fatto invece la Meloni, richiamandosi a un non ben definibile ma suggestivo “blocco occidentale”, come se la scelta fosse ancora fra Stati Uniti e Unione Sovietica; lo stesso “blocco”, detto de passage, che ci ha fottuto in Libia e non perde occasione, nella sua versione UE, di restringere le nostre libertà sovrane, siano esse politiche, legislative, economiche e finanziarie.
Non si tratta quindi, in questa fase di crisi, per un partito che ha pretese “nazionali”, di prendere posizione per l’una o per l’altra fazione. Hegel disse che la guerra è spesso la lotta del giusto contro il giusto, cioè che ognuno dei contendenti ha buone ragioni da mettere sul piatto della bilancia; e, probabilmente, anche in questo conflitto questa formula vale.
Né di invocare che uno stato politicamente e militarmente debole come il nostro arrivi a (poco plausibili) denunce del trattato nord-atlantico.
Si tratta però di smarcarsi, esercitando il sacrosanto e inalienabile diritto alla dignità, da quella ambiguità che letture estravaganti ed elastiche di quel patto militare, siglato 72 anni fa – e mai, et pour cause, rivisto e corretto – reca con sé, ponendo limiti alla sua portata applicativa che, al di là dello stretto tenore letterale, deve essere misurato sulla base dell’interesse nazionale.
Lasciare la sua interpretazione alle smanie ideologiche e strategiche di altri è, ci spiace per Fratelli d’Italia, assai poco sovranista e c’induce a pensare che i vecchi schemi della guerra fredda e di un’ammuffita contrapposizione ideologica continuino a contagiarne i vertici, facendoli reagire come i simpatici migliori amici dell’uomo del famoso fisiologo e medico (eh sì…) russo di nome Ivan Pavlov.