La Pasqua, nei suoi misteri della passione morte e risurrezione, è fondamento della vita cristiana nella sua globalità liturgica, esistenziale, teologica, escatologica, artistica, musicale, tradizionale e nelle molteplici espressioni della religiosità popolare, perciò è considerata la festa della feste o festa madre delle altre festività poiché la Pasqua è evento decisivo della fede cristiana. Sin dai primi tre secoli, i cristiani celebrano la Pasqua nell’arco di tempo di 50 giorni, commemorando gli eventi della “Settimana Santa”, nel “Triduo Pasquale”, giovedì, venerdì e sabato santo, la domenica di Pasqua, l’Ascensione, la Pentecoste cioè il “mistero pasquale”.
Morte e resurrezione sono due facce del mistero di Gesù nella sua natura umana e divina. Alla sua luce, si scopre il disegno di Dio sull’uomo e sulla storia. Ogni cosa, dagli inizi della creazione alla fine dei tempi, converge e trova il centro vitale in Cristo risorto.
La risurrezione di Gesù è allo stesso tempo un fatto reale, storico e anche un mistero.
Nel corso dei primi secoli, la Chiesa ha dovuto difendere e chiarire la verità di fede contro eresie che la falsificavano. Le prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità e sono dette “Eresie Cristologiche”.
Il termine “eresia” deriva dal greco “hàiresis”- scelta”, e indica una dottrina in contraddizione con la verità rivelata da Dio e proclamata dalla Chiesa. Per estensione, il termine indica anche affermazioni o pensieri in aperto contrasto con i principi consolidati di una scienza o con il senso comune.
Tali dottrine sono radicate anche ai nostri giorni coi relativi dubbi.
Taluni poi negano la risurrezione di Gesù e propongono altre spiegazioni per giustificare la tomba vuota e i fatti seguiti alla sua scoperta. Ecco le principali.
Il furto del corpo di Gesù:
I discepoli avrebbero trafugato il corpo di Gesù e poi diffuso la falsa notizia della sua resurrezione. Secondo i Vangeli, però, i capi dei sacerdoti fanno custodire la tomba di Gesù chiedendo al procuratore Ponzio Pilato un picchetto di soldati per garantirne per garantirne l’inviolabilità (Mt 27,62-66) e i discepoli, inoltre, sono spaventati: nessuno, eccetto Giovanni, ha seguito Gesù sotto la croce.
“Se Gesù non fosse risuscitato, i discepoli ne avessero trafugato il cadavere, sarebbe stato impossibile per loro, da un punto di vista psicologico, avere la motivazione, la resistenza e la costanza necessarie per andare avanti a diffondere la fede in Gesù, in non pochi casi al prezzo della vita.“
J. Dominion, “Uno come noi.” Un’interpretazione psicologica di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.
La sottrazione del cadavere:
In questo caso la sparizione del corpo di Gesù sarebbe dovuta al trafugamento fatto dagli ebrei oppure del trasferimento della salma da parte di Giuseppe di Arimatea: i discepoli, non trovando più il corpo di Gesù e non sapendosene dare una spiegazione, avrebbero elaborato la fede nella risurrezione. Come già notava Giovanni Crisostomo nel IV secolo, chiunque avesse rubato spostato il corpo di Gesù, non lo avrebbe tolto dalle bende e dal lenzuolo funebre, e non si sarebbe preoccupato di arrotolare il sudario in un luogo a parte, per portar via un corpo rigido e nudo.
La rianimazione del cadavere:
Gesù non sarebbe realmente morto in croce ma sarebbe caduto in uno stato di catalessi e morte apparente. Staccato dalla croce deposto nel sepolcro si sarebbe rianimato grazie alle particolari condizioni ambientali e, uscito dalla tomba, si sarebbe presentato ai suoi discepoli vivo. Quest’ipotesi è improbabile perché i romani eseguivano le condanne a morte con scrupolosa precisione: si accertavano del decesso e provocavano la morte se l’agonia si allungava troppo (ad esempio, spezzando le gambe e favorendo l’asfissia del morente; nel caso di Gesù vi fu un colpo di lancia al cuore (Gv 19,32-34). Cristo, inoltre, prima della morte, aveva subito pesanti forme di estenuazione fisica (una notte insonne; la flagellazione a cui pochi condannati resistevano; la coronazione di spine; sospensione in croce). Per questo: “Pilato si meravigliò che Gesù fosse già morto e, chiamato il centurione, concesse la salma a Giuseppe “(Mc 15,44-45).
Questa notizia, molto attendibile storicamente considerando la prassi giudiziaria romana, spazza via tutte le fantasie su un Gesù deposto dalla croce solo svenuto, rianimatosi nel sepolcro, liberatosi dalle tende funerarie e magari fuggito in Kashmir con Maria Maddalena come ogni tanto qualche giornale in secca di notizie cerca di vaneggiare
G. Ravasi, i vangeli della passione, San Paolo periodici, Milano 2004-
Lo scambio di tomba:
i discepoli avrebbero confuso la tomba di Gesù con un’altra vuota e, reinterpretando le parole del maestro sulla sua morte resurrezione, avrebbero formulato la fede nel Risorto. I vangeli annotano però che le donne erano presenti nel luogo della sepoltura di Gesù (Mt 27,61; Mc 15,47; Lc 23,55)… e se vi fosse stato uno scambio di tomba, perché non cercare quella vera?
Non vi è stata alcuna risurrezione:
Cristo sarebbe realmente morto ma, dopo l’iniziale disorientamento e scoraggiamento, gli apostoli non vollero che il messaggio di Gesù finisse con lui e continuarono a predicare, sostenendo che l’insegnamento di Gesù era ancora vivo e vero. Da qui l’affermazione “Gesù è vivo”, passata poi a significare la risurrezione della persona di Cristo.
La teoria delle visioni:
La risurrezione di Gesù è frutto di visioni avute da singole persone. I Vangeli raccontano però anche di apparizione di gruppo: ai due discepoli di Emmaus, agli apostoli riuniti insieme nel cenacolo, sulle rive del lago di Genezaret durante la pesca. Non è poi verosimile che la prima comunità dei cristiani fosse composta da estatici o sognatori, tanto presi dal loro stato d’animo di essere indifferenti a ciò che realmente accadeva.
La risurrezione è un mito:
Non importa che Gesù sia realmente risorto oppure no. Ciò che conta è la fede nella risurrezione che consente all’uomo di soddisfare una delle sue vicende più profonde: il bisogno di immortalità.
Non è difficile trovare la verità contenute nei Vangeli e nelle stesse testimonianze degli Apostoli e discepoli per sfatare queste supposizioni, dubbi, pregiudizi ideologici e dottrine eretiche. Gli apostoli erano uomini come noi; chi di noi sacrificherebbe la propria vita per una menzogna? Chi andrebbe incontro ad una morte spesso cruenta, come per gli stessi
apostoli Pietro e Paolo, per sostenere una non verità? Si sarebbero dunque inventati una fanfaluca, una fandonia tanto da morire per essa?
E’ proprio perchè hanno visto il Signore Risorto che sono pronti a morire per Lui.
Gesù è risorto: l’approvazione di Dio
Cristo è risorto. A prima vista sembra essere un annuncio di gioia senza ombre; in realtà il Nuovo Testamento lo presenta sempre un contesto drammatico. Come disse Pietro nel suo primo discorso giorno di Pentecoste, la Pasqua di Gesù mette in luce prima di tutto la radicale opposizione tra Dio e gli uomini. Questi ultimi avevano giudicato Gesù meritevole di condanne di morte, ma Dio l’ha risuscitato. La risurrezione è la suprema approvazione da parte di Dio di colui che gli uomini avevano respinto. Accettare la risurrezione significa far proprio il giudizio di Dio e non quello degli uomini, riconoscendo che Dio ha sottratto Gesù al rifiuto a lui opposto dal mondo e lo ha costituito al di sopra di tutto e di tutti. Lo ha reso signore giudice della storia: come usa dire la Bibbia lo ha fatto sedere alla sua destra. Dora innanzi, per Dio, è vero e giusto soltanto ciò che Gesù ha insegnato. Dalla Pasqua in poi, il
mondo deve prendere atto di questa scelta definitiva divina, in contrasto con l’intera umanità, per valutare ciò che vale e ciò che non vale nella vita dell’uomo. E’ difficile tenere via di mezzo, perché la sentenza di Dio è chiara: Gesù soltanto è nel giusto, chi non è con lui e come lui, agli occhi di Dio, è nel torto.
Le apparizioni del Risorto
“Vi ho trasmesso dunque anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di 500 fratelli in una sola volta: La maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.” (1 Corinzi 15,3-7)
Questo brano della lettera di Paolo evidenzia come il nucleo centrale della nascente fede cristiana fosse la risurrezione di Cristo; essa è attestata dalla manifestazione del Risorto a testimoni qualificati della fede, cioè gli apostoli e i discepoli (At 10,41). Anche i Vangeli, che non descrivono il momento della risurrezione di Gesù, parlano di apparizioni che seguirono alla scoperta del sepolcro vuoto.
Si parla di apparizioni e non di visioni, cioè è Gesù che si mostra persone che hanno difficoltà ad accettare che Egli sia risorto e stentano persino a riconoscerlo. Non sono quindi gli altri che lo vedono, ma è lui che si manifesta. I destinatari di questi particolari manifestazioni del risorto sono Maria Maddalena (Gv 20, 11-18), alcune donne accorse al sepolcro (Mt 28, 9-10, Pietro e gli Undici riuniti nel cenacolo o solamente alcuni di essi (Mt 28,16-20; Mc 16, 14-20; Lc 24,36-53; Gv 20, 19- 29; Gv 21, 1-23; alcuni discepoli in viaggio (Lc 24, 13-35):
sono cioè persone che avevano condiviso parte della loro vita con Gesù e che l’avevano seguito. Nella descrizione di queste apparizioni, ritorna però con insistenza l’annotazione che coloro ai quali Cristo appare fanno fatica a riconoscerlo. Anzi, Gesù viene riconosciuto e ogni dubbio viene risolto solamente quando Egli mostra i segni della crocifissione o spezza il pane. Si parla quindi di apparizione di riconoscimento: Gesù si fa riconoscere dimostrando che il Risorto è lo stesso Gesù che avevano seguito e che era stato crocifisso. Questa difficoltà a riconoscere da parte dei discepoli, che pure avevano un rapporto di estrema familiarità con lui, è dovuto al fatto che Gesù Risorto è nella vita di Dio trasfigurato nella sua realtà personale. Gesù compie alcuni gesti per sottolineare che Egli è risorto anche con il suo corpo, che non è solamente uno spirito e nemmeno un fantasma
(Lc 24, 36-43): chiede a Tommaso di toccargli le ferite (Gv 20, 27) prende del pane del pesce lo offre i suoi discepoli (Gv 21,13), mangia una porzione di pesce arrostito (Lc 24, 43). Queste apparizioni vogliono quindi sottolineare la concretezza della rIsurrezione e la perfetta identità tra Gesù e il Risorto. Nei Vangeli inoltre vi sono le apparizioni di missione: Gesù si mostra Risorto non tanto per farsi riconoscere, ma per affidare e confermare un incarico e una missione. Appare nel cenacolo ed incarica gli apostoli di perdonare i peccati in nome di Dio (Gv 20, 19-23). Prima di ascendere al Padre lascia i suoi apostoli l’impegno di annunciare il Vangelo e di battezzare (Mt 28,18 20; Mc 16, 14-20) perché assolvono alla loro missione, Gesù promette dono dello Spirito Santo (Lc 24, 49). Nelle apparizioni di missione riveste un ruolo particolare l’incarico pastorale affidato a Pietro. Così, apparendo sul lago di Tiberiade e dopo la pesca miracolosa, interroga Pietro per tre volte e per tre volte gli affidò il compito di “pascere il suo gregge” (Gv 21, 15-19), confermando le parole già in precedenza rivoltegli (Mt 16, 16-19; Lc 22, 31-32 ). Vi sono anche altri cenni alle apparizione del risorto a Pietro nei testi del Nuovo Testamento (Lc 24, 34; 1 Cor 15,5).
In alcuni casi, i vangeli annotano che l’apparizione di Gesù Risorto avviene di domenica, giorno che per i cristiani è diventato il giorno dell’Eucarestia, cioè il sacramento della presenza reale di Gesù vivo tra i suoi (Lc 24, 13; Lc 24, 36; Gv 20, 19; Gv 20, 26). L’inizio degli Atti degli Apostoli annota ancora:
“Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio”. (Atti 1,3)
Tutto questo ha confermato i primi discepoli nella convinzione che Gesù fosse vivo e fosse sempre con loro. Non era soltanto un insegnamento di Gesù che, per la sua validità, poteva superare l’ostacolo del tempo, ma la persona stessa di Gesù, oltre la morte, è entrata nella vita di Dio, vive per sempre presente ad ogni uomo.
Chi è Gesù?
La risurrezione di Cristo è il fatto centrale del cristianesimo.
Senza risurrezione vera, le promesse di Cristo si vanificano, le prospettive di vita e di eternità vengono stravolte, l’uomo e l’universo ripiombano nella loro disperata solitudine. La morte si prenderebbe l’ultima parola. Tutto sta o cade con la verità di questo annuncio:
Cristo è risorto!
E’ il sigillo sulla divinità di Gesù. Senza risurrezione cade la fede in Cristo. Se Gesù non fosse risorto, sarebbe solo un uomo, in più assassinato dalla malvagità umana.
Dopo l’esperienza dell’incontro con Gesù Risorto, gli apostoli ripensano i fatti della vita di Gesù prima della sua morte e comprendono in profondità il suo messaggio e la sua identità. Gesù aveva detto di sè:
Io sono il buon pastore (Gv 10,14)
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6,51) Io sono la luce del mondo (Gv 8,12)
Io sono la porta delle pecore (Gv 10,7)
Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,25)
Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo… quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono Gv 8, 23-28)
Molte persone avevano riconosciuto in un individuo straordinario, un grande profeta, l’inviato di Dio: ma la risurrezione di Gesù è la prova definitiva che lui è “il Signore”. “Kyrios” = Signore”, designa Dio nella versione greca dell’Antico Testamento (la LXX) e corrisponde all’ebraico “Adonaj”,che si usa per riferirsi a Jahvè.
Il Nuovo Testamento trasferisce a Gesù il titolo di “Kyrios” per esprimere il mistero di Cristo, Figlio di Dio e proclamarne la sovranità.
S. Pietro, nel discorso di Pentecoste proclama con chiarezza l’annuncio fondamentale del Cristianesimo: “Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che Egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere ed udire. Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! “
(At 2,32-36)
Concludo con l’episodio evangelico dell’ incredulità tommasea.
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». […]
L’elemento che si ritrova frequentemente nei racconti pasquali è la sottolineatura delle porte chiuse: Gesù risorto non è soggetto alle leggi normali dei corpi, ai limiti spazio-temporali che contraddistinguono la nostra esistenza. Eppure Cristo è presente veramente tra i suoi, dimostrando fisicamente la sua identità attraverso i segni della sua crocifissione che documentano la sua morte: Egli è risorto nel suo vero corpo!
In questa sua prima apparizione ai discepoli, Gesù dona loro la pace per ben due volte; in questi due auguri ci sono sfumature diverse: la prima volta Gesù augura la pace all’animo turbato dei discepoli, la seconda volta Gesù dona la pace ai discepoli perché la trasmettano agli altri.
Ecco dunque Giovanni, capitolo 20: Gesù è risorto; è apparso ai discepoli, tra i quali non c’è Tommaso. E lui, sentendo parlare da loro di risurrezione, esige di toccare con mano. E’ agli altri apostoli e ai discepoli che parla, non a Gesù. Gesù comunque viene, otto giorni dopo, e lo invita a “controllare”… Ed ecco che Tommaso, il pignolo, vola fulmineo ed entusiasta alla conclusione, chiamando Gesù: «Mio Signore e mio Dio!», come nessuno finora aveva mai fatto. E Gesù, di rimando: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che non videro e tuttavia credettero!
Il tradito ritorna da quelli che lo hanno consegnato ai nemici. Venne e stette in mezzo a loro. Le sue apparizioni non hanno mai il clamore di una imposizione. Non si preoccupa di sé, il Risorto, non viene a chiedere, viene a portare aiuto. Pace a voi! Non si tratta di un semplice augurio, ma di una affermazione: c’è pace per voi, è pace dentro di voi!
Tommaso, metti qua il dito nel foro dei chiodi, stendi la mano, tocca! Gesù risorto non porta altro che le piaghe del crocifisso, porta l’oro delle ferite che ci hanno guarito. Gesù non si scandalizza dei dubbi di Tommaso, non gli rimprovera la fatica di credere, ma si avvicina ancora. A Tommaso basta questo gesto. Chi ti tende la mano, chi non ti giudica ma ti incoraggia e ti offre una mano dove riposare e riprendere il fiato del coraggio, è Gesù:
Non ti puoi sbagliare!
Caravaggio nella composizione orizzontale “fotografa” il momento in cui San Tommaso mette il dito nel costato di Cristo (Gv 20,24-29). Lo sfondo scuro, neutro e completamente spoglio ci permette di concentrare l’attenzione sui quattro personaggi in primo piano inquadrati a tre quarti ed in particolar modo sulla testa e sul volto timoroso ed incredulo di San Tommaso. Il pittore fa in modo di far riflettere la luce proprio sul dito dell’apostolo mentre penetra il costato di Cristo. Il gesto di toccare è forte ed eccessivo, sembra un modo estremo di voler verificare il dubbio più grande di tutti: è veramente il Cristo risorto? Caravaggio rende perfettamente il desiderio di un uomo che non si accontenta di vedere per credere, ma ha bisogno di toccare concretamente quel corpo. L’invito a tastare la ferita viene da Gesù stesso, come se l’esperienza di Tommaso fosse un’anticipazione dell’incorporazione nel corpo glorioso di Cristo, che tutti i credenti proveranno alla fine dei tempi.
San Tommaso nel suo dubitare rappresenta la debolezza e l’imperfezione che è presente in ogni uomo, che non deve essere negata e nascosta, anzi ammessa e dichiarata, perché destinata ad essere superata nell’amore di Cristo. Il dubbio che avvolge San Tommaso si dipana immediatamente nel momento stesso in cui tocca il corpo di Gesù, divenendo conversione e certezza di salvezza.
Di fronte a quest’opera lo spettatore non può non sentirsi interpellato in prima persona, non può non percepire su di sé il dubbio di San Tommaso, non può non desiderare di essere presente, non può non offrirsi a quella conversione del cuore che dona la gioia e la speranza e che si fa Verità in Gesù Cristo: “Mio Signore e Mio Dio!”
Buona Pasqua nella Risurrezione del Signore.
Alessandro prof. dott. Tamborini *
*Plenipotenziario per le politiche di tutela e promozione del patrimonio storico-artistico-demo-etno- antropologico.Teologo, storico, cattedratico e studioso di Scienze Religiose, Storia e Simbolismo dell’Arte Antica e Medievale.