Il concetto di Europa ha una storicità che, proprio per la propria profondità storica, non ammette dubbi sulla sua esistenza. È divenuto di fatto un concetto culturale. L’analisi che si propone cerca di scavare rispetto ai valori alla base della costituzione dell’Europa come la conosciamo oggi. Quello che qui si vuole problematizzare è la capacità di rappresentanza e di interpretare il senso di appartenenza degli europei, dei popoli, in altre parole, che attraverso la loro rappresentanza politica sono stati riuniti in una compagine extraterritoriale e sovranazionale che oggi chiamiamo Unione Europea. Sì, perché usare l’espressione di “popolo europeo” comporterebbe un sentimento alla base del quale dovremmo, quanto meno, trovarne costante espressione nel foro istituzionale democratico.

Anzitutto occorre capire quali sono i capisaldi dell’Europa e del Popolo che ne abita il continente, gli intenti, in altre parole, che dal basso hanno mostrato la volontà di insignire l’Europa ad entità unitaria dei popoli suoi abitanti. Silvio Lanaro, nella premessa al suo volume Patria, afferma chiaramente che guerre e trapassi di regime hanno la capacità supersonica di «accelerare trasformazioni sociali incubate anteriormente e destinate a durare più a lungo delle circostanze materiali da cui sono scaturite». Rimane da comprendere se siano la politica e la rappresentanza ad avere le capacità, mutatis mutandis, di interpretare questo cambiamento nella sua quintessenza, oppure di darne una direzione secondo strategie altre rispetto al dettame popolare ed alla sua volontà. Dovrebbero esistere, in altre parole, valori comuni che diano i confini di questa coesione sociale europea. Per tornare alle parole di Silvio Lanaro in Patria, appare del tutto evidente che, secondo i postulati dello storico vicentino, il primo passaggio per la costruzione di un’idea di nazione sia la costruzione dell’idea di popolo, come concetto sociale e ideologico di cittadinanza. Wilhelm von Humboldt scrive che la lingua è visione del mondo, andando quindi a legare i parlanti ad un proprio criterio culturale e aggregativo. L’Esperanto europeo oggi è la lingua inglese.

Ripercorriamo quindi per sommi capi le prime tappe dell’integrazione europea per comprendere gli intenti iniziali di essi.

Tra il 7 e il 10 Maggio 1948 si tenne all’Aja il Congresso d’Europa, con presenti oltre 700 invitati, tra i quali Adenauer. Paese propugnatore dell’alleanza fu la Gran Bretagna, che darà vita al Consiglio d’Europa di Strasburgo, conquista del Trattato di Londra del 1949. L’intento principale era quello di unire le forze per fronteggiare il pericolo comunista.

La Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), istituita col Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 ed entrata in vigore un anno dopo, ebbe anzitutto scopi economici e consentì ai paesi firmatari di mettere in comune la produzione delle due materie prime, appunto carbone e acciaio, in ottica dissuasiva di fronte ad una potenziale nuova corsa agli armamenti, memori del secondo conflitto mondiale. Possiamo considerare questa unione come un primo passo verso un processo federale europeo e nel contempo, insieme all’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), attiva dal 1948 al 1961, un muro protettivo del Piano Marshall, soprattutto nei settori rappresentati.

La CED, la Comunità Europea di Difesa istituita nel 1952, non fu altro che un prolungamento in ambito militare della CECA, con un valore politico-militare più nominale che pratico. Infatti, si rivelò un mero fallimento, perché era un’organizzazione con un minore concentrato di interessi condivisi rispetto a quanto condensato nella CECA, senza dimenticare che la costituzione di un esercito europeo avrebbe comportato un riarmo consistente della Germania dell’Ovest, così come preteso dalla NATO e osteggiato dalla Francia.

Nel contempo in Europa, parallelamente, era in corso l’Operazione Stay Behind, che in Italia si mosse sotto mentite spoglie probabilmente sino al 1990, quando l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti ammise in Parlamento l’esistenza di “Gladio”, l’organizzazione segreta, braccio armato della NATO in Italia, completamente esterna alle logiche dell’“esercito europeo” e della CED. I riflessi sono di lungo periodo: dopo l’aggressione dell’Iraq contro il Kuwait del 1990, l’unica misura della CEE fu l’embargo. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II rimase deluso dell’apporto europeo a livello politico e militare nell’osteggiare la decisione di George Bush, il quale non permise alcuna interferenza da parte degli alleati del vecchio continente. Durante la Guerra del Kosovo l’attendismo europeo lasciò l’iniziativa agli statunitensi, l’ONU alla NATO.

11 Marzo 1952, 758^ seduta del Senato della Repubblica. Il Senatore Prof. Avv. Pasquale Jannacone, durante la seduta parlamentare di discussione del Piano Schuman che diede vita proprio alla CECA, pose delle critiche costituzionali alla messa in operatività di quest’ultimo. Nel racconto stenografico emergono perplessità rispetto al carattere spiccatamente economico dell’iniziativa, mentre sostanziali apparivano le mancanze, soprattutto nell’elaborazione di strategie coordinate, financo la gestione del nemico esterno: non si legge, infatti, nel Piano Schuman, alcun riferimento alla costituzione di un esercito e di apparati sociali comuni che, quindi, facciano riferimento ad un nuovo paradigma culturale in grado di combattere un nuovo possibile pericolo totalitario. Un altro senatore, Giulio Pastore, si espresse nei confronti di Francia e Germania in tali termini: «Noi non siamo altro che i consumatori, noi siamo inevitabilmente i dipendenti di questi Paesi, e non vedo davvero quali vantaggi possiamo avere ad essere i primi ad approvare questo Trattato».

Sono solamente alcune espressioni, le quali naturalmente non hanno l’ardire di essere rappresentative, ma cercano di storicizzare alcune problematiche già allora sentite. L’Europa, all’indomani del secondo conflitto mondiale, appariva come un baluardo – lo abbiamo già menzionato – il quale doveva organizzarsi per essere difeso e per essere ingaggiato economicamente per le nuove sfide che la guerra fredda avrebbe comportato.

La paternità biologica nel processo di costruzione dell’Europa post bellica, rinvigorita dalla corrente esistenzialista di Camus e dell’irrazionalismo di Heidegger, è sicuramente attribuibile al trio Adenauer-Schuman-De Gasperi, il quale partiva dal presupposto di essere formato da “buoni europei”. Il lancio della CECA nasce dall’idea che fosse necessaria una maggiore condivisione degli intenti economici. Occorre, inoltre, fissare un paradigma storico orbitante attorno alla capacità politica di ciascun territorio europeo, posto che questa vi fosse in una misura sufficiente da rendersi autonoma e legata ad interessi precipuamente nazionali. Pensiamo che, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, l’Europa appariva come due polmoni, come li definì Papa Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Euntes in mundum. In Italia era presente il più grande partito comunista europeo, mentre in Germania dell’Est l’amministrazione politica era spiccatamente filosovietica. Se nel primo caso vi era margine democratico, nel secondo il margine fu praticamente assente.

Partendo dalla Conferenza di Messina del 1955, il Trattato di Roma del Marzo 1957 altro non fece che estendere il successo della CECA a tutti i settori della vita economica, creando la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e la Comunità Economica Europea (CEE). La Gran Bretagna non firmò il Trattato di Roma e la Francia ostracizzò il suo ingresso nella CEE. L’idea di Europe des Patries poco si sposava con le volontà imperialiste di stampo anglosassone. Il Movimento Europeo scelse la strategia dell’integrazione economica e, nonostante i molteplici tentativi di contraddire questa posizione, rimane questa strategia economica a guidare ancor oggi l’Unione Europea, comunità che non ha visto un’unità di intenti paradossalmente neppure nell’ambito dell’attuale emergenza sanitaria.

Nel 1961, lo storico statunitense Stuart Hughes nella sua Storia dell’Europa contemporanea paragona l’Europa del Novecento all’antica Grecia. Tuttavia, non ebbe modo di verificarne il percorso reale sino ad oggi. Proviamo comunque a rintracciarne alcuni astratti elementi comuni: mancava e manca unità politica; i predomini erano e sono stati solamente temporanei e mai totalizzanti. Il concetto di Stato Nazionale è, invece, un concetto moderno che precluderebbe l’unione di intenti del sentimento comune tipico della Grecia classica, quella di Atene e Sparta, per intenderci. Erodoto racconta che, durante la seconda guerra persiana, i Greci (οἱ Ἕλληνες”) “che hanno giurato il patto di alleanza” demandarono ad una confederazione il potere di inviare emissari per chiedere assistenza e aiuto militare reciproco. L’Europa in quanto tale esiste come accordo politico-economico internazionale; rimane ancora da capire se il concetto di popolo europeo sia un derivato di una circostanza geografica congiunturale, oppure un derivato di un sistema valoriale condiviso.

Umberto Galimberti, filosofo contemporaneo rischiaratore di coscienze, in una conferenza del maggio 2009 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia afferma chiaramente come oggi i valori fondanti l’attuale cultura occidentale siano il denaro e la tecnica. Sul primo valore pare non ci siano fraintendimenti; sul secondo, è chiaro come esso sia comunque in funzione del primo. Compito degli storici contemporanei per comprendere il concetto d’Europa nella sua realizzazione compiuta sarà sorvegliare in maniera predittiva quello che Marc Bloch scriveva nell’Apologia della Storia: «L’incompiuto, se di continuo tende a superarsi, ha per ogni spirito ardente una seduzione che equivale a quella della perfezione raggiunta». Dipenderà da chi ne vorrà diventare il protagonista.

Fonti:

P. Viola

H. Stuart Hughes, Storia dell’Europa contemporanea, Rizzoli, Milano 1971.

N. Davies, Storia d’Europa, Bruno Mondadori, Milano 2006.

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/487690.pdf

http://legislature.camera.it/_dati/leg09/lavori/stenografici/sed0369/sed0369.pdf

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