Il perdono è un regalo.
Il perdono, però, non è un regalo scontato, ma prezioso, una possibilità di redenzione, una vittoria assoluta ed imperitura del bene, un percorso da fare insieme a chi ci ha feriti o, talora, straziati.
Ebbe ragione la vedova di Vito Schifani a dire di essere pronta a perdonare, “però vi dovete mettere in ginocchio”.
Il perdono immediato, incurante della consapevolezza del colpevole, può persino divenire pernicioso per l’anima di chi, commesso un crimine orrendo, si trovi assolto con facilità senza aver modo di valutare, anche attraverso l’osservazione del dolore, della chiusura, dello strazio e del temporaneo rifiuto altrui, l’enormità di quanto commesso.
Noto con stupore che oggi sono in molti, colpiti da tragedie immani, a perdonare seduta stante, in diretta televisiva, ad un quarto d’ora dal delitto che ha strappato loro genitori, figli, fratelli.
Rarissimamente uno sfogo feroce, nemmeno per impotenza, nemmeno per rabbia.
Mai la voglia di vendetta, nemmeno quella che scaturisce dal primo minuto di disperazione!
“Quello che perdoniamo troppo in fretta, non rimane perdonato” scrive, intuendo perfettamente l’animo umano, una brava giornalista di altri tempi, capendo che il vero perdono – quello profondo, quello che non ci rimangeremo – è un perdono elaborato, pensato, meditato, sofferto.
Non lo meritano tutti, quel perdono.
Lo ha meritato Alessandro Serenelli, l’omicida di Santa Maria Goretti, 27 anni di carcere, lavori duri, convento, conversione, richiesta di essere finalmente sollevato da un peso insostenibile.
E la madre della vittima quel perdono lo concesse!
Non lo concedono ancora, e ben fanno, i parenti di Don Mario del Becaro, ucciso da Gazmor Hahillari che lo ha legato e soffocato infliggendogli una morte dolorosissima e lenta.
Non basta la letterina dal carcere, non bastano sei anni di galera, non ne basteranno nemmeno venti (non gli hanno dato l’ergastolo!).
Ci vorrà lavoro, redenzione, vera conversione ed una vita di dolore e di patimenti.
È la strada di Alessandro Serenelli.
Altre non ce ne sono, altre non se ne indichino perché irrispettose per le vittime e infruttuose per i carnefici.