Una recente pubblicazione francese titola: «Com’è che abbiamo lasciato penetrare l’islamismo a scuola», ed ecco che ancora una volta cadiamo dal pero davanti ad un fenomeno che ci prende sempre in contropiede, perché sempre fingiamo che non esista.
Ebbene, pur vergato da uno scrittore, Jean Pierre Obin, esperto di problemi scolastici, tale titolo non va al nocciolo della questione, in quanto il problema non è come l’islamismo sia entrato a scuola, ma come abbia potuto svilupparsi, incistarsi e consolidarsi non solo nelle scuole francesi, ma in tutta Europa, ormai «trapuntata» (mi si passi il manierismo, da «cielo trapuntato di stelle» di Modugno) di comunità islamiste, intendendo con il suffisso «iste» comunità dedite alla militanza attiva (predicazione, reclutamento e, all’occorrenza, anche jihad).
Ebbene, quelle comunità che «trapuntano» la società europea sono comunità dedite a:
- implementare la Da’wa (predicazione attiva mirata al reclutamento);
- consolidare, al loro interno, una totale autonomia rispetto alle leggi in vigore, fino ad arrivare all’applicazione per via consuetudinaria della Shari’a (la retta via coranica) con l’intento di estenderla all’Europa;
- portare avanti la strategia sollecitata dalla Fratellanza musulmana, che prevede sia il bastone che la carota (alternando la solita balla dell’Islam religione di pace con la fomentazione di azioni violente), sia la richiesta di una rappresentanza politica per inserire nelle dinamiche democratiche le istanze dei cittadini che professano l’Islam (un ossimoro, perché l’Islam è incompatibile con la democrazia, essendo la legge già tracciata ab aeternum nella Shari’a).
È da tali comunità, che costituiscono la retrovia del Jihad in Europa, che proviene il decollatore ceceno del professore francese.
È in tali comunità che hanno trovato complicità e rifugio i jihadisti responsabili degli attentati perpetrati nell’ultimo quinquennio.
È in tali comunità che il Jihad ha stabilito le sue retrovie.
Se noi non prendiamo atto e non agiamo in maniera decisa contro tali incistamenti ove, in maniera occulta, praticando la takiya (dissimulazione) si preparano i predicatori e i jihadisti, dove si afferma un Islam che prevede comportamenti sociali in netta antitesi con le nostre leggi, se non ci sbrighiamo a smantellare quegli incistamenti simili a cellule tumorali, il peggiore islam (lo scrivo con la minuscola) riuscirà a soppiantare l’Islam tollerante praticato anche da alcuni musulmani di buona fede e volontà residenti in Europa, i quali non hanno problemi a rispettare le nostre leggi, anch’essi destinati a diventare vittime dei tagliagole.
È sufficiente chiacchierare con un imam di quelle comunità, anche di quelli apparentemente meno mente capti per capire cosa pensino di noi:
- siamo degli amorali che abbisognano dell’Islam per essere riportati nella moralità;
- siamo degli ignavi che hanno rinnegato la propria religione in quanto fasulla (non sto ad approfondire, ma ritengono che i dettami di Cristo siano stati traditi da San Paolo, pertanto la nostra religione non è cristiana ma paoliniana);
- quel che ci resta della nostra religione deve essere sostituito dall’Islam.
E in siffatto contesto cadiamo giù dal pero e ci chiediamo com’è che l’islamismo è entrato nelle scuole?
Semplice: vi è entrato regolarmente, al suono della campanella.
È uscito di casa, consapevole della propria determinazione e della nostra debolezza. È entrato a scuola – ma non solo a scuola – dal portone principale, e ha detto: voi potete raccontare tutte le balle che volete, l’unica verità è l’Islam. E noi zitti, come pecore forse più smarrite che impaurite.
E in quel paesino solo un professore ha osato dire qualcosa (che io personalmente non condivido nella sostanza, perché comunque non si sbeffeggia la spiritualità) per far capire quali sono i nostri paletti. Onore a lui, alla sua buona fede di cittadino libero e al suo coraggio.