Adesso che il polverone dell’attacco jihadista di Vienna, avvenuto lo scorso primo novembre, si è dissolto, scopriamo che a compiere l‘azione non è stato un gruppo, ma un solo individuo (albanese) e per di più noto alla polizia austriaca per aver tentato di andare in Siria, via Turchia (ma va?), al fine di unirsi all’ISIS, e per aver cercato di procacciarsi armi e munizioni in Slovacchia (notizia doverosamente passata dalla polizia slovacca a quella austriaca). Sicuramente ci sarebbe molto da obiettare sull’efficienza delle Forze dell’Ordine e dell’intelligence di quei paesi, come l’Austria, che puntano troppo spesso il critico ditino verso la solita presunta caciarona Italia.
A prima vista, quell’azione potrebbe sembrare l’azione di un praticone che si è inventato jihadista… e così è.
Ma ciò non toglie che quell’azione, artigianale e poco efficace, ha messo in seria difficoltà le Forze dell’Ordine austriache, le quali, ai primi spari, hanno cominciato a vedere i fantasmi e hanno riferito di un gruppo composto da almeno 6 terroristi, che aveva impegnato 6 obiettivi.
Com’è che un solo individuo, per di più «praticone», riesce a spaventare così tanto da far vedere i fantasmi alla polizia?
Semplice, perché quell’azione si inscrive nella scia di altre analoghe azioni che – dopo i più strutturati attentati di Parigi (Charlie-Hebdo e Bataclan), Nizza e Bruxelles – si ripetono incrementando con la sapienza di un farmacista la dose di terrore che i sempre più confusi e renitenti europei devono ingurgitare. Siamo sotto schiaffo, proprio come quel gioco conosciuto come «lo schiaffo del soldato», in cui a chi tocca (in questo caso noi) aspetta che arrivi lo schiaffo per poi indovinare chi è stato.
Quell’albanese, assassino in nome di un credo (l’Islam fondamentalista) che incita alla guerra religiosa, in realtà, pur se praticone, non è solo, ma è sostenuto da un apparato propagandistico capace di sensibilizzare, attivandoli, i punti più sensibili dell’amor proprio del musulmano (che è strutturato, per educazione, ad essere un “homo religiosus” convinto della superiorità salvifica della sua fede), trasformandoli in aggressività contro un mondo di “infedeli islamofobi”.
L’innesco della furia di quel jihadista albanese (contiguo all’Islam balcanico, per ora ancora sopito) è da ricercarsi nella ventennale campagna di odio contro un imprecisato Occidente (che comprende Europa e America, laici e cristiani, ma anche tiepidi mussulmani) fomentato dalla Fratellanza Musulmana, sia sotto traccia, sia con roboanti accuse di islamofobia nei confronti di chi magari non è d’accordo con una strumentale presenza troppo manifesta dell’islamismo militante.
Recentemente, a Roma, un gruppo di musulmani ha obbligato un bar vicino a una moschea improvvisata di quartiere a non servire alcolici perché vicino ad un luogo sacro per i musulmani. La protesta del proprietario è stata bollata come “islamofoba” dai musulmani residenti intervistati.
Più recentemente, ad amplificare l’azione della Fratellanza Musulmana ci si è messa la tv qatariota Al Jazeera, che ha tenuto il bordone ad un Erdogan che inveiva in maniera anche volgare contro il presidente francese Macron, unico tra i capi di Stato dei paesi del bacino del Mediterraneo ad aver contrastato la politica delle cannoniere del Ras turco.
Non si commetta lo sbaglio di considerare l’azione di Vienna come un atto isolato, perché è da anni che la Fratellanza Musulmana reitera le sue accuse contro un “Occidente” razzista e islamofobo, e fomenta nella massa dei musulmani la percezione di vivere inseriti in un mondo di nemici, privi di morale e di valore, che li odiano e li temono perché l’Islam è la religione definitiva che tutto renderebbe migliore.
Ci si renda conto che quella propaganda mira a riunire i musulmani militanti residenti in Europa, per farne uno strumento di guerra santa contro l’infedele e per il trionfo dell’Islam.
È sufficiente chiacchierare con gli imam delle varie moschee in Italia per rendersi conto che si tratta di emissari organici alla Fratellanza Musulmana: nessuno di loro ha mai condannato senza se e senza ma le azioni jihadiste, nessuno di loro le ha mai condannate senza prima addurre delle giustificazioni, ribaltando la colpa su di noi, “islamofobi”, e le volte in cui le hanno condannate per questioni di opportunità mediatica si sono sempre affrettati a smentire la condanna di fronte ai loro fedeli, proprio come è avvenuto qualche anno fa quando un imam, di fronte alle telecamere, aveva assicurato di condannare un’azione jihadista (non ricordo se quella condotta contro Charlie Hebdo, il Bataclan, oppure Moelenbeck) e che avrebbe pregato anche per le vittime non musulmane, salvo poi chiarire alla comunità musulmana della sua moschea che non è concesso a un musulmano pregare per chi musulmano non è.
In tale situazione anche il fronte dei non pochi musulmani che praticano un Islam “tollerante” ne esce indebolito, in quanto la pressione esercitata dalla Fratellanza Mussulmana produce i suoi effetti, per esempio inducendo anche i meno convinti a guardare con simpatia a Erdogan.
Pertanto, se non cambiamo rotta e non cominciamo a rapportarci in maniera più “virile” con i musulmani, obbligandoli a rispettare la nostra identità, il destino che ci attende è quello di essere in balia di soggetti pronti a prendere il sopravvento al momento opportuno.