4 Novembre 2020. Sono passati esattamente centodue anni dal termine della Prima guerra mondiale e dalla seconda ondata di contagi della storicamente famigerata febbre ‘Spagnola’. In questa data, il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, professore Giuseppe Conte, emette un nuovo – per molti, l’ennesimo –  DPCM. Per gli abitanti di molte Regioni italiane, giudicate testualmente “rosse”, questo provvedimento rappresenta una logica conseguenza all’aumento dei contagi e quindi delle ospedalizzazioni nelle terapie intensive regionali. Ma per molti altri cittadini questo è l’ennesimo provvedimento che forza la propria, personale, aura di sentirsi ‘liberi’.

Oggi la libertà è un valore comunemente accettato, ma allo stesso tempo è un concetto. Tuttavia, alla data odierna, non sappiamo esattamente cosa la libertà rappresenti, non essendo fautori, memori o testimoni di percorsi necessari per l’ottenimento di essa. Come Socrate insegnava, è sempre bene chiedere ragione delle cose. Oggi non è l’individuo B che impedisce all’individuo A di agire, ma quella entità – lo Stato – che rappresenta e dovrebbe curare gli interessi particolari di entrambi, incluse la salute e la vita. Dallo Stato d’era moderna è il potere a definire paradossalmente quella che è autonomia e quella che è libertà. La costituzione è di per sé un prodotto del potere costituito nella forma di Stato. Pertanto, ricalcando i ragionamenti di Pudendorf (1632-1694), se il potere si connota nella fondazione della socialità e del diritto, concetto preceduto dal contratto sociale di Thomas Hobbes (1588-1679), allora esso rappresenta una delega democratica dei cittadini che può conseguentemente limitarne la libertà.

Sempre valida nella teoria, tale connotazione subisce modifiche nella pratica: la Costituzione italiana attuale prevede che vi sia un duplice passaggio parlamentare che trasformi i decreti-legge in leggi ordinarie dello Stato. In generale, la Costituzione è oggi fatto fondante e specchio della volontà di un popolo inteso non come realtà costituita, bensì come soggetto costituente. Come affermato da valenti giuristi e studiosi del diritto, de facto il cosiddetto governo Conte bis legifera per tramite di Decreti del Consiglio dei Ministri, giudicati atti puramente amministrativi, limitando conseguentemente le libertà stesse del popolo che lo ha costituito per il tramite della rappresentanza.

Mai come in questa nuova fase della pandemia lo sforzo più arduo è comprendere fino a che punto la ragion di Stato motivi, con gli attuali provvedimenti, la limitazione di alcune libertà costituzionali. Stiamo assistendo ad una dinamica nuova: la libertà pubblica sta lentamente sottraendo spazio vitale a quella privata. In altre parole, lo Stato sta progressivamente entrando nello spazio privato dell’individuo allo scopo di monitorarne azioni e costumi che possano in qualche modo ledere l’attuale, fragile, equilibrio sanitario. Con l’ultimo DPCM, lo fa in particolare utilizzando uno strumento territoriale intermedio, le Regioni, formalmente costituite con la legge ordinaria dello Stato nel 1970. Se con lo Statuto Albertino del 1848, costituzione per l’Italia dal 1861 al 1948, le province e i prefetti risultavano prima delegazione del decentramento dell’amministrazione centrale, con le Regioni si assiste ora ad una stretta antropologica attorno al bene comune.

Per gli abitanti della Regione Veneto sta portando in auge un “venetismo”, per alcune correnti di pensiero mai sopito. Nei suoi giornalieri reportage della situazione epidemiologica, lo stesso Presidente della Regione Veneto Luca Zaia usa l’espressione “Veneti” per indicare un’idea compiuta di popolo che, per sua riconosciuta indole campanilistica, ha dimostrato con le sue azioni di essere compatto nella risposta alla pandemia. La strategia è quella di creare una sensazionale unità popolare attorno ad un concetto particolare – un fenomeno che probabilmente sta accadendo solo in parte o per nulla a livello nazionale. Antropologicamente esistono infatti fenomeni che denotano il carattere della rappresentatività che un potere riesce a garantire, ed il rapporto tra tale rappresentatività e gli effetti concreti prodotti da essa non è mai stato osservato nella storia del Paese dall’Unità d’Italia al giorno d’oggi.

L’interrogativo, non esaustivo, che qui si vuole proporre al lettore, è il seguente: nella Storia repubblicana sono state mai toccate le libertà personali con decreti-legge e successive leggi ordinarie dello Stato? E ancora: nella Storia d’Italia vi è mai stata una situazione di emergenza sanitaria simile a quella attuale?

Durante l’epidemia di ‘Spagnola’, il Regno d’Italia rimase in stato di guerra – e quindi di emergenza – almeno fino a gennaio 1920. Esistono poi peculiari e poco note specificità nel campo del diritto italiano: il codice penale militare in tempo di guerra ha abolito la pena di morte solamente nel 1994. Le sanzioni penali comminate nel marzo 2020 durante la prima ondata del Coronavirus sono state giudicate anti-costituzionali perché derivate da atti amministrativi e non da leggi. Proprio qui è necessario aprire un dibattito, si spera salutare, per l’opinione pubblica: è in grado oggi il nostro sistema parlamentare di garantire tempistiche consone a questa emergenza? È pur vero che lo Stato di emergenza di fatto fa risaltare un carattere della norma – di qualunque natura essa sia – assolutamente poco attrattivo, perché votato alla limitazione non tanto della libertà, quanto degli interessi cui essa fa scudo.

Di fronte ad una minaccia sanitaria, una conclamata dottrina dello “Stato di diritto a tutti i costi” sembra portare a due conseguenze: da una parte, la dissociazione tra diritto e politica, e dall’altra una peggiore dissoluzione del concetto di Stato a favore di una mera identificazione dello stesso con l’«arida positività del diritto» (1). La giuspubblicistica tedesca di Carl Schmidt e di Herman Heller la avrebbe più o meno giudicata su questo versante. In sostanza, l’antica legge fondamentale «salus reipublicae suprema lex esto» comporta un parallelismo con l’epoca odierna in cui più che uno «Stato di emergenza» sta emergendo uno «Stato di eccezione», dove si sostanzia il primato della politica a quella del diritto. Forse l’unica istituzione della Storia che contempla la situazione d’emergenza o di grave pericolo per la res publica è quella del dictator e del magister equitum. Nell’antica Roma, in carica per circa sei mesi, egli aveva il compito principale di risolvere le problematiche per cui il consolato ne aveva promosso l’elezione. Nei suoi numerosi interventi filosofici, Umberto Galimberti manifesta a chiare lettere come l’attuale scollamento dell’individuo dai propri vincoli politici di fronte ai propri simili sia uno dei frutti della condotta meramente e moralmente economica del suo essere cittadino contemporaneo. In altri paesi del mondo sta apparendo chiaro ormai come sia l’economia a regolare alcuni aspetti della politica ed è possibile notare una maggiore cura degli interessi economici rispetto a quelli sociali.

L’uguaglianza del cittadino di fronte al dovere dello Stato di mantenere la salute del medesimo è garantita dall’articolo 32 della Costituzione Italiana e prescinde dall’attività o dallo status economico di quest’ultimo. Lo Stato ora declina e delega sussidiariamente l’assistenza sanitaria a livello regionale e quindi il controllo del rispetto delle regole amministrative propedutiche al contenimento dell’agente patogeno SARS-COV-2. Ergo, il ricorso all’ente regionale pare sostanziare la volontà da parte dello Stato di aprire un collegamento molto più stringente con il territorio, vettore biunivoco necessario per intraprendere azioni che mirino a contestualizzare una direzione di governo su media, piccola e piccolissima scala. Sfida audace dal punto di vista storico sarà quindi verificare quanto questa competenza regionale sia stata e sarà in grado di gestire e declinare le regole centrali secondo la logica della necessità, creando soprattutto una partecipazione popolare contestuale al rispetto della norma. Regioni come il Veneto, solidificate dal punto di politico ed economico dai risultati plebiscitari del proprio governatore, cementate da una Storia territoriale ben radicata nel territorio, potrebbero ritrovarsi a riprendere un dialogo con il potere centrale da una posizione di forza, solidificata dalla capacità di fronteggiare con relativo successo l’attuale situazione di emergenza.

Agli storici non resta pertanto che rimanere sulla “scalinata di Odessa” per comprendere quale evoluzione avrà lo Stato italiano dopo lo stravolgimento istituzionale e normativo a cui stiamo assistendo. È certo che sia dal punto di vista antropologico che da quello socio-politico l’Italia non sarà più la stessa e la Ragione che la guida e ne governa le sue Regioni dovrà rivedersi.

Note

(1) L. Galantini, La filosofia del diritto dello stato nei totalitarismi fascisti, Annalisi di Storia moderna e contemporanea 11-2005

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