La vita di Che Guevara è la vita di un sognatore coraggioso che, a un certo punto, ha compiuto un errore irrimediabile per la coscienza di chiunque e, da quel momento, anziché riconoscerlo, ha solo cercato di dimostrare a sé stesso di non aver sbagliato. Ma aveva sbagliato la prima volta e ha sbagliato di nuovo tante altre volte, e, alla fine, da uomo coraggioso quale era, non gli rimaneva che una sorta di suicidio.
Il suo destino si è compiuto in 4 passaggi fondamentali: 1) La gestione dei tribunali speciali dopo la rivoluzione cubana; 2) La gestione del Ministero dell’Industria e dell’Economia di Cuba, con la conversione verso i cicli di produzione marxisti; 3) La creazione dei movimenti di guerriglia in Africa; 4) Il tentativo di sollevare la Bolivia contro i militari. Tutti fallimenti, o morali o politici. O morali e politici.
Il primo passaggio fondamentale della vita del Che, quello della gestione dei tribunali speciali, fu l’errore fondamentale e irrimediabile della sua vita che poi causò tutto il resto, ma, per descriverlo correttamente, si deve fare un passo indietro e riferirsi a un altro evento importantissimo che, fino a quel momento, riguardava il Che solo indirettamente. Si trattava dell’Assalto alla Caserma Moncada del 1952, ovvero 7 anni prima dell’esito finale della rivoluzione, conclusasi nel 1959.
Perché fu importante l’attacco alla Caserma Moncada? Perché offre una luce diversa sulla reale spietatezza attribuita al dittatore Fulgencio Batista. Quell’attacco fu organizzato dai rivoluzionari per appropriarsi delle armi della caserma e causò probabilmente 80 morti tra i militari, più vari morti tra i rivoluzionari. Oltre alla cattura dei fratelli Castro e di tutti gli altri sopravvissuti.
Orbene, dopo un atto di questo genere, ti aspetti la vendetta del dittatore con condanne a morte di varia crudeltà e invece i congiurati ricevettero una condanna a 15 anni. Roba da Svezia.
Poi pensi: “Chissà con quali sevizie gli avranno fatti passare quei 15 anni?”. E invece ne scontarono solo 2, perché alla prima festa nazionale Batista li amnistiò tutti quanti. Proprio tremendo, questo Batista.
Adesso si torni al 1959, dopo la vittoria dei rivoluzionari e dopo la cattura di molti militari e di vari funzionari, ma anche semplici impiegati del regime di Batista. I pesci grossi erano ovviamente scappati, alcuni proprio tramite accordi con i rivoluzionari. A questo punto, ti aspetteresti un trattamento simile a quello ricevuto dai castristi e invece Fidel Castro nominò un non cubano alla direzione degli appena istituiti tribunali speciali. Appunto, Che Guevara.
Guevara non aveva beneficiato dell’amnistia ricevuta dai castristi, perché non partecipò all’attaccò della Caserma Moncada, ma non ebbe la nomina ai “tribunali della vendetta” solo perché non doveva provare riconoscenza verso i prigionieri. In realtà, il Che era ormai diventato il numero 2 nel ranking delle gerarchie cubane. Guevara aveva guidato l’attacco su Santa Clara e lì si era guadagnato i galloni sul campo.
La letteratura del nuovo regime cubano parlò di poche decine di fucilati dai tribunali speciali, ma ci pensò un amico pentito dei rivoluzionari cubani a rimettere a posto la verità storica. Fu il giornalista investigativo peruviano Vargas Llosa, prima amico dei Castro, poi orripilato dalle fucilazioni dei tribunali speciali, a lanciare l’accusa di più di 2.000 fucilati. Quanto dovevano essere terribili questi prigionieri se, appena 7 anni prima, avevano subito l’attacco con morti di una caserma senza praticamente vendicarsi?
Può essere che Guevara si sia accorto della sproporzione del suo personale comportamento rispetto alla reale colpa di quei prigionieri? Di fatto non fucili 2.000 persone senza che poi i loro fantasmi non ti si ripresentino. Un tale rimorso di coscienza potrebbe succedere, anche se fossi stato solo l’esecutore di un ordine come quello. Figuriamoci se fossi stato tu ad averlo impartito, come fu per il Che.
Da quel momento, Guevara si trovò a dover giustificare a se stesso tutte quelle fucilazioni. Doveva trovare la giusta motivazione e questa era sicuramente individuata nella bontà di una rivoluzione ideologica per la quale tutto il popolo sarebbe stato ora felice. Trucidarne qualche migliaio per renderne felici vari milioni.
Come prima nuova esperienza, adesso quel popolo avrebbe trovato una nuova felicità nel modo di lavorare, con la gioia di produrre in favore del prossimo, senza domandarsi quanto si donava agli altri. O almeno, era quello che credeva Guevara, e qui arriviamo al suo primo fallimento politico. Infatti, il Che era stato nominato ministro dell’Industria e dell’Economia, assommando poteri indicibili, ma ampiamente comprensibili in un periodo dove era essenziale cambiare le mentalità dei lavoratori cubani. Ciò avvenne nel lasso di tempo che andò dal 1961 al 1965. Già in precedenza era stato per quasi 3 anni presidente della Banca Centrale cubana, firmando le banconote col proprio nome ed effigiandole col proprio volto.
Il Che dette l’anima per convincere i contadini al cambiamento. Si racconta che tenesse dei comizi interminabili nelle campagne, anche di 12 ore continuate. Tanto ardore, ma niente, la produzione diminuiva anziché crescere. Intervennero persino i funzionari sovietici per verificare se il modello marxista non fosse troppo rigido e consigliarono di ammorbidire le procedure ideologiche.
Buona parte dell’interesse sovietico era quello di risparmiare qualche rublo, visto che le mancate produzioni cubane dovevano essere poi sostenute economicamente da Mosca. Ma ancora niente, ottennero solo di acuire i contrasti con Guevara, il quale arrivò ad accusare di scarsa efficacia i macchinari provenienti dalla Russia; nella fattispecie si ricorda una polemica sui trattori. Di fatto, ancora oggi Cuba si compone di una zavorra di 5,2 milioni di dipendenti statali con una produttività scarsissima, nonostante l’odierno progetto Cuenta tenti di ridurne il numero per stimolare l’iniziativa privata. Devono ancora ringraziare la Russia di oggi che, con signorilità, li sovvenziona ancora, e devono ringraziare gli Usa, che sono il primo partner commerciale nell’acquisto dei prodotti agricoli cubani!
Quindi siamo al primo fallimento ideologico di Guevara, ovvero la grandezza dell’economia marxista non giustificava i 2.000 morti dei tribunali speciali. Non c’era una felicità diffusa a compensare i sergenti e gli impiegati di Batista ammazzati.
Allora il Che pensò bene che forse era la presenza ingombrante della nomenclatura cubana ad impedire il giusto trasporto del popolo verso i nuovi ideali marxisti e iniziò così la sua avventura africana. Non si sa se ci fu un vero e proprio dissapore con Fidel, ma sta di fatto che il Che partì per l’Africa nel 1965.
Ma anche in Africa il marxismo non attecchiva bene. Infatti, pur dopo una serie di successi militari, Guevara notava come la gente dei villaggi tornava subito alle logiche tribali, alla prevaricazione di un clan sull’altro. Scappò dall’Africa nauseato. E siamo al secondo fallimento ideologico e politico.
A quel punto, siamo nel 1967, ad appena 8 anni dalla presa dell’Avana, e il Che si convinse che doveva essere uno Stato sudamericano il suo nuovo obiettivo, e puntò sulla Bolivia. La scelta fu molto giusta per un verso, infatti la Bolivia ha una posizione geocentrica favorevolissima per poter contagiare tutto il Sudamerica.
Ma, di contro, Guevara commise un grave errore di valutazione sul sentimento sociale dei boliviani. La Bolivia, come molti Paesi latinoamericani, vive di un radicato razzismo tra i bianchi e le popolazioni autoctone, ovvero gli indios. E qual è lo Stato sudamericano dove nei rapporti sociali tra le varie etnie proprio tra i militari dell’esercito non c’è questo razzismo? Qual è l’unico Stato sudamericano dove gli indios diventano anche generali e li si può vedere negli avvicendamenti al comando degli innumerevoli e spesso finti colpi di Stato che si susseguono? Quello Stato è proprio la Bolivia!
Quindi Guevara, bianco come il latte anche per le sue discendenze irlandesi e basche, arriva per portare la guerriglia in mezzo a obreros y campesinos, che erano tutti indios! E questi si sentivano molto più vicini ai militari, indios come loro (o per lo meno con una forte componente india), che non a un bianco come Guevara. Un altro fallimento!
Guevara notò subito nei suoi diari il distacco dei campesinos nelle zone rurali dove tentò di portare il contagio rivoluzionario. Benché negli spostamenti del suo gruppo pagasse profumatamente le forniture di cibo acquistate dai contadini, questi stessi denunciavano costantemente il suo percorso ai militari e il Che lo capiva. Non era uno di loro e non lo sarebbe mai diventato. Avrebbe fatto meglio ad ascoltare il Partito Comunista boliviano, che lo avvertì della difficoltà, ma il Che, pensando a una manovra ostruzionistica del “nemico” sovietico, non aveva voluto crederci.
Aveva chiamato a raccolta in Bolivia tutti i suoi compagni di avventura, quelli che erano con lui sin dai tempi della presa di Santa Clara e li aveva portati a morire nelle valli boliviane. E morirono. Il rammarico e la delusione emergevano senza infingimenti dalle pagine del suo diario, fino a quando, di ritirata in ritirata, arrivò nell’ultima valle, dove poteva scegliere se tentare di scappare ancora e abbandonare la Bolivia o se farsi catturare e probabilmente morire.
Avrebbe avuto ancora voglia di guardare l’espressione disincantata e un po’ irridente di Fidel? Avrebbe avuto la rassegnazione di risolvere l’esito di una rivoluzione nella partecipazione al godimento del potere, magari frequentando l’isola privata del grande capo e vecchio compagno di avventure?
La vita del Che fu una vita sbagliata ma coraggiosa e lo fu fino all’ultimo momento, scegliendo la cattura e la condanna a morte.