La morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere che lo scortava ha riacceso i riflettori sulla Repubblica Democratica del Congo.
Le province del Kivu, luogo dell’omicidio, sono una regione dilaniata da anni di violenza, per il controllo del coltan, un materiale essenziale per la produzione di schermi.
Gruppi armati ogni giorno si scontrano per accaparrarsi il controllo del territorio ed i ricavi della vendita di tutta la produzione regionale.
Il gruppo più organizzato è l’Adf (Allied democratic forces), organizzazione di stampo islamista, jihadista, senza un reale programma politico.
Nella regione del Kivu operano anche molte milizie di autodifesa, spesso costituite da cittadini su base etnica, chiamate Mai-Mai. Nate per difendere i propri villaggi durante la guerra, restano attive per lo sfruttamento delle tante ricchezze congolesi.
Tutte queste milizie cercano di mettere le mani sui giacimenti e sulle foreste, ma si autofinanziano con i rapimenti di esponenti locali e, quando possibile, di stranieri.
Il personale delle Nazioni Unite è visto come una potenziale minaccia, perché testimone dei traffici, mentre è più tollerato l’esercito congolese, fortemente corrotto.
Il contrabbando delle ricchezze del Kivu viene favorito dalle multinazionali europee e americane e dai paesi confinanti. Basti pensare che il Ruanda figura fra i primi produttori mondiali di coltan, anche se ufficialmente è privo di miniere. Nella capitale Kigali hanno sede le direzioni delle multinazionali, soprattutto belghe e americane, che commerciano in minerali preziosi. L’Italia è un attore minore, che non ha mai partecipato a simili sotterfugi.
La Repubblica Democratica del Congo vive enormi difficoltà. Nelle province di Kivu, Ituri ed Equatore continua a imperversare il virus Ebola, che dal 2019 ha fatto oltre duemila morti. Il Programma alimentare mondiale ha lanciato l’allarme più volte negli ultimi anni, dichiarando che 13 milioni di persone sono allo stremo, soprattutto nelle zone centrali.
Inutile dire che l’Italia dovrebbe attivare missioni finalizzate all’aiuto della popolazione congolese. Dare loro il diritto a non emigrare, aiutandoli con i nostri mezzi all’avanguardia, a combattere i nemici del popolo. Attivarsi per trovare i responsabili dell’omicidio dei nostri connazionali e sottoporli rapidamente ad un processo.
Ogni minuto perso, equivale a fomentare la tratta di esseri umani svolta dalle ONG sul mar Mediterraneo.
Giuseppe M. Pappalardo
(Contributo scritto per il progetto “Evita Peron for Syria”)